RIHA Journal 0313 | 6 May 2024

La cerchia di Antoine Perrenot de Granvelle e un problema di metodo

Le medaglie di Anthonis Mor e Francisco Pacheco oltre le storiografie nazionali*

Walter Cupperi

Abstract
The sharp division between "Italian" and "Early Netherlandish" culture fostered by a nationally minded art history has led to serious misunderstandings in the classification of unattributed works created within supranational networks in the sixteenth century. The artistic circle of Antoine Perrenot de Granvelle (1517–1586), minister to Charles V of Habsburg, can be considered a prime example of such a network, because it was characterised by an intense and widespread mobility of artefacts and artists from and to Brussels between the 1540s and the 1560s. This article focuses on two medals that portray personalities close to Monsignor of Granvelle, namely the painter Anthonis Mor and Cardinal Francisco Pacheco y Toledo. It aims to revise their traditional attributions and to demonstrate the extent to which the cultural encounters that took place in the shadow of the Habsburg court impacted artistic developments. Above all, the article will illustrate how much the interpretive schemes of a nationally minded art historiography have biased our account and complicated our understanding of these encounters.



[1] Antoine Perrenot de Granvelle (1517–1586; fig. 1) – vescovo di Arras, corrispondente di Tiziano (?–1576) e protettore di Jacques Jonghelinck (1530–1606) e Leone Leoni (1509–1590) – fu un esponente di spicco delle corti di Carlo V (1500–1558) e Filippo II (1527–1598).

1 Leone Leoni, Antoine Perrenot de Granvelle (particolare del diritto), 1549 ca., esemplare in piombo, diam. 66,5 mm. Staatliche Münzsammlung, Monaco di Baviera (foto Nikolai Kästner – © Staatliche Münzsammlung, Monaco di Baviera)

Riconsiderare il suo profilo significa affrontare un nodo storiografico che rivela i limiti degli approcci interpretativi basati sull’applicazione di idee nazionali e schemi etnicizzanti alle reti culturali europee del XVI secolo.1 Il Perrenot fu una figura chiave (ma certamente non l’unica) del processo di mobilitazione di artisti e artefatti tra la penisola italica e gli antichi Paesi Bassi a metà del secolo: come segretario di Carlo V fu in prima linea nel reperimento e nello spostamento di opere, materiali e artefici, sia in esecuzione di commissioni asburgiche, sia a soddisfazione di propri desiderata.2 Il tenore di questi scambi è documentato da un carteggio che non cessa di interessare le studiose e gli studiosi per la sua ricchezza di informazioni e materiali inediti; meno discusso è il problema del paradigma secondo cui interpretare tali scambi in sede storico-artistica.3 Una lettura fortunata del fenomeno, che trova espressione esemplare (anche se non originale) nell’Histoire de Belgique (1907) di Henri Pirenne (1862–1935), ritiene che ampi settori della produzione pittorica e scultorea degli antichi Paesi Bassi si andassero "italianizzando" a partire dal terzo decennio del XVI secolo. Secondo Pirenne, questa "importation étrangère", riconducibile a una moda imperante tra le "classes privilégieés de la société", avrebbe interrotto, ostacolato o mutato il corso autonomo di una ragguardevole "école nationale".4 Per lo storico belga, del resto, l’"invasion de la Renaissance italienne" fece il paio con la subordinazione degli interessi politici della nazione a quelli del sovrano: non a caso, egli vedeva come protagonista di questo secondo processo una personalità come Antoine Perrenot – "Franc Comptois […] également étranger à l’Espagne, à l’Italie et aux Pays-Bas" – che aveva avuto un ruolo cospicuo anche nella promozione di proposte figurative e architettoniche non scaturite semplicemente dalla tradizione locale.5

[2] Ora, mentre questa visione riduttiva dei momenti di dialogo tra artisti dalla provenienza più lontana e artisti dalla provenienza più vicina è stata ampiamente superata nell’ultimo quarto del XX secolo, per esempio ad opera di Nicole Dacos, altri aspetti di tale rigida impostazione storiografica su basi nazionali sopravvivono indiscussi nel settore bibliografico a partire dal quale vorremmo formulare alcune osservazioni sul mecenatismo del Granvelle, quello che ha per oggetto sculture e medaglie.6 Un’opera pregevole come La médaille en Belgique des origines à nos jours di Luc Smolderen (2009), ad esempio, mantiene l’idea che lo scenario della microplastica tra Bruxelles e Anversa intorno al 1550 possa essere descritto nei termini di un rapporto tra scuole nazionali separate e in concorrenza fra loro, quando non in conflitto diretto. Altri fattori determinanti per gli svolgimenti della ritrattistica in metallo nei Paesi Bassi meridionali sarebbero da identificare nella preferenza della corte per i "maîtres italiens" e nel loro scarsissimo interesse per le personalità artistiche con cui vennero a contatto.7 La possibilità di mettere a fuoco un dialogo in cui anche gli artisti dai natali lombardi e toscani avessero imparato dai colleghi nederlandesi non viene nemmeno considerata: l’interazione tra le diverse presenze documentate a Bruxelles (artisti, committenti, oggetti) assume una direzione univoca, configurandosi come "influence italienne decisive".8

[3] Occorre invece chiedersi se è possibile valutare in termini diversi i contatti tra gli artisti nati negli antichi Paesi Bassi che si stabilirono a Bruxelles presso il prelato e quelli giunti in Brabante da vari Stati della penisola italica tra 1549 e 1559 per servire gli Asburgo – in particolare Leone Leoni, Pompeo Leoni (1540 ca. – 1608), Jacopo Nizolla da Trezzo (1514/15–1589) e Giampaolo Poggini (1518 – ante agosto 1580). In questo contributo considereremo la questione a partire da due medaglie la cui attribuzione erronea è per certi versi rivelatrice delle forzature che questo quadro storiografico ha prodotto.

[4] La prima medaglia (fig. 2) raffigura Anthonis Mor van Darshorst da Utrecht (1516/21–1576) ed è datata verso la fine degli anni cinquanta per la stretta somiglianza che la lega all’autoritratto congedato dal pittore nel 1558 (Firenze, Gallerie degli Uffizi).9 La si conosce in esemplari unilaterali (figg. 3 e 5), ma anche in combinazione con due rovesci diversi.10 Nel primo (Londra, British Museum, inv. no. M2928, un esemplare in pessime condizioni) è rappresentata la parca Cloto al filatoio, con il motto "DABIT, [sic] HIS ­· DEVS · QVOQ(VE) FINEM";11 nel secondo (fig. 2) è raffigurata una personificazione identificabile con Pictura sulla base della tavolozza, dei vasetti di colore e del pennello con cui dipinge al cavalletto.12

2 Leone Leoni (qui attr.), diritto: Anthonis Mor, rovescio: Pictura, 1556 ca., piombo, diam. 63 mm. Bibliothèque Royale Albert Ier, Bruxelles (© Bibliothèque Royale Albert Ier, Bruxelles)

3 Leone Leoni (qui attr.), Anthonis Mor, 1556 ca., esemplare unilaterale in lega di rame, diam. 63,7 mm. The National Gallery of Art, Washington, D.C., Kress Collection, numero di accessione 1957.14.1233 (su concessione della National Gallery of Art, Washington, D.C.)

4 Steven van Herwijck, Cloto, seconda metà del XVI secolo, esemplare unilaterale in piombo, diam. 62 mm. The British Museum, Londra, inv. M.2932 (© The Trustees of the British Museum, Londra)

L’atelier di Pictura è però fornito di tutto punto: squadre, strumenti di misura, modelli grafici e plastici di diverso formato, corazze, pezzi d’argenteria ed elementi architettonici descrivono al contempo i suoi strumenti di lavoro, i suoi ambiti di competenza e le forme di sapere da cui quest’arte traeva riconoscimento.

[5] Sia la versione unilaterale del ritratto, sia quelle con rovescio sono oggetto di fraintendimenti riguardanti la loro datazione e attribuzione. In primo luogo, il rovescio con Cloto (fig. 4) si trova associato all’effigie di Mor solo in un surmoulage, come riconosciuto da George F. Hill già nel 1908.13 In epoca potenzialmente tarda, un recto unilaterale preesistente (come l’esemplare riprodotto alla fig. 5) fu improntato e replicato in combinazione con un altro pezzo privo di diritto (come quello della fig. 4) e raffigurante un tema passepartout come la morte. Di conseguenza, il rovescio con Cloto (fig. 4) non può essere equiparato a quello con Pittura (fig. 2) in termini di pertinenza al ritratto – come avviene invece nella monografia su Mor di Joanna Woodall (2007), che si sforza addirittura di interpretare il significato della parca in riferimento al pittore, quasi che sapessimo che l’ibrido (noto per ora in un solo esemplare) fosse stato realizzato per Anthonis da un artista edotto sui suoi desideri.14

[6] In secondo luogo, nell’esergo del rovescio con Cloto si legge l’iscrizione "STE · H ·" (fig. 4), feli-cemente ricondotta da Victor Tourneur all’orafo Steven van Herwijck da Utrecht (1530–1565/7), conterraneo di Mor e come lui attivo ad Anversa e a Londra.15 L’iscrizione però non indica la paternità della medaglia in toto e del preesistente ritratto sul recto, che originariamente era separato dalla raffigurazione con la parca, ma solo l’artefice di quest’ultima, che un artista di epoca imprecisata associò al ritratto di Mor.16 Ora, mentre Hill attribuì entrambe le facce a "STE · H ·", Tourneur stabilì correttamente che il diritto è di mano diversa rispetto al rovescio.17 Lo studioso belga non riuscì però a identificare l’anonimo responsabile dell’effigie di Mor, che egli cercava tra i medaglisti attivi ad Anversa.

[7] Per progredire nell’esame della questione, occorre innanzitutto precisare che in esemplari come quello della Bibliothèque Albert Ier di Bruxelles il rovescio con Pictura (fig. 2) è pertinente dal punto di vista materiale, iconografico e stilistico con il ritratto sul diritto, a differenza di quanto credeva Tourneur. In questa versione – che è quella primitiva, ed è priva di contrassegni o iscrizioni che ne dichiarino la paternità – sia il recto, sia il verso trovano riscontri nell’opera di un unico artista: tra i molti possibili proponiamo qui confronti con una medaglia del generale Giovambattista Castaldo (fig. 6), interessante anche per il taglio del busto; una di Antoine Perrenot (fig. 1), simile per la resa della barba; ed una di Francesco Ferdinando d’Avalos (fig. 7), il cui volto è quasi sovrapponibile a quello di Mor (figg. 2 e 5).18

5 Leone Leoni (qui attr.), Anthonis Mor, post 1556, esemplare unilaterale in piombo, diam. 60 mm. The British Museum, Londra, inv. G3,IP.620 (© The Trustees of the British Museum, Londra)

6 Leone Leoni, Giovambattista Castaldo, post 1556, esemplare unilaterale in lega di rame, diam. 75 mm. Staatliche Münzsammlung, Monaco di Baviera (foto Nikolai Kästner – © Staatliche Münzsammlung, Monaco di Baviera)

7 Leone Leoni, Francesco Ferdinando d’Avalos (particolare del diritto), entro il 1561 (diritto), esemplare ibrido in lega di rame, diam. 61,5 mm. Gabinetto Numismatico e Medagliere, Milano (foto Gabinetto Numismatico e Medagliere, Castello Sforzesco – © Comune di Milano)

I quattro pezzi sono tutti opera di Leone Leoni, ritrattista di Carlo V dal 1541, protetto di monsignor di Granvelle dal 1543 circa e scultore cesareo dal 1549.19 Anche la personificazione della Pittura trova molti paralleli tra le figure femminili raffigurate nei suoi rovesci degli anni quaranta, e i confronti si potrebbero estendere alle lettere della legenda.20 La medaglia che raffigura Mor e Pictura (fig. 2), quindi, non è affatto opera di un plasticatore nederlandese (Jonghelinck per Simonis; van Herwijck per Hill, Pollard e Luciano; un anonimo anversate per Tourneur, che ne ascriveva però il rovescio a van Herwijck), ma piuttosto di un aretino residente a Milano, Leone Leoni, nel cui catalogo va inserita senza esitazione.

[8] Antoine Perrenot conobbe Leoni non più tardi del 1543 e scoprì Mor poco prima del marzo 1549.21 Grazie alla loro attività parallela per gli Asburgo e alla loro frequentazione dell’Hôtel Granvelle a Bruxelles, i due artisti avrebbero potuto incontrarsi in diverse occasioni. Un primo contatto trai i due poté forse avere luogo nel 1549. Il 18 settembre, infatti, Mor riscosse ad Anversa 200 scudi da Domingo de Orbea, tesoriere di Filippo d’Asburgo, per un’opera non identificata; il giorno prima, Leone Leoni e suo figlio Pompeo avevano ricevuto da Orbea 300 scudi nella medesima città, che avevano raggiunto viaggiando al seguito del principe da Milano.22 Nello stesso anno, poi, Anthonis e Leone lavorarono a Bruxelles per le stesse persone: lo scultore alloggiò al Palazzo ducale del Coudenberg fino al 12 dicembre, modellando le teste di Filippo d’Asburgo, di Carlo V, delle sue sorelle e dello stesso Perrenot; il pittore tenne bottega a Bruxelles e ritrasse monsignor di Granvelle, Filippo e Eleonora d’Asburgo;23 non è peraltro escluso che per qualcuno di questi effigiati egli si fosse avvalso delle stesse sedute di posa concesse a Leoni. Comunque sia, i due artisti erano certamente informati sulle rispettive attività, perché in una lettera del luglio 1550 monsignor di Granvelle menziona Mor a Leoni in termini così ellittici da rendere chiaro che il destinatario sapeva di chi si parlava: "La prefata Regina [Maria d’Ungheria, sorella di Carlo V] ha mandato il mio pittore in Portogallo, de che averete ancor voi la parte vostra, per far le statue della Regina di costì [cioè di Caterina d’Asburgo]".24 Infine, Anthonis si trovava a Bruxelles nel marzo 1556, quando Leone vi tornò assieme al figlio per consegnare parte delle sue sculture agli Asburgo.25 Se la medaglia di Mor (fig. 2) si basa su una seduta di posa, è forse nel 1556 che fu modellata – due anni prima dell’autoritratto degli Uffizi.26

[9] Spia di un riposizionamento teorico e sociale della figura del pittore, come evidenziato da Woodall, e annoverabile tra le prime medaglie a rappresentare artisti nei Paesi Bassi, il ritratto di Mor associato alla personificazione di Pictura (fig. 2) fece parte di un’operazione culturale di cui ci sfuggono i termini esatti.27 Non sappiamo infatti se esso fu parte di un atto di omaggio dello scultore, o fu invece commissionato, e da chi. Senz’altro, l’incontro alla base dell’opera deve molto al ruolo di mecenate e tessitore di relazioni di cui Perrenot andava fiero.

[10] Il quadro sinora delineato consente un’ulteriore considerazione. La medaglia di Anthonis Mor non è dovuta a un giovane maestro anversate fortemente "italianeggiante", van Herwijck – per giustificare la cui maniera Julien Simonis e Victor Tourneur giungevano a postulare un viaggio dell’artista verso sud, in realtà non documentato.28 Anzi, proprio l’erroneo assunto che forme di questo tipo fossero comuni nei Paesi Bassi soggetti all’"influence italienne" (Pirenne) ha ritardato il riconoscimento in quest’opera della testimonianza di un contatto tra un pittore originario di Utrecht e uno scultore residente a Milano.

[11] Analogamente, nel caso di un altro protetto di Antoine Perrenot, Jacques Jonghelinck, un comprovato soggiorno in Lombardia è stato investito di una valenza formativa sproporzionata rispetto a quella accertabile sulla base dei documenti amministrativi e figurativi. La premessa storiografica a tale lettura risiede nel fatto che fino a tempi recenti le opere dello scultore anversate sono state viste in una relazione di forte dipendenza rispetto a quelle di artisti dell’area padana che sicuramente conobbe: Alexandre Pinchart (1858), ad esempio, ipotizzava che Jacques, pur proveniendo da una famiglia di incisori di zecca, avesse preso lezioni da medaglisti "italiani" alla corte di Bruxelles. Anche per questo, la scoperta che Jonghelinck aveva alloggiato a Milano presso Leone Leoni nel 1552 fu considerata la prova di un suo apprendistato presso l’artista più anziano.29 Eppure, l’atto notarile milanese del 23 maggio 1552 su cui poggia questa ricostruzione menziona solo un "dominus Giaches Jonghelinck filius quondam domini Iohannis Petri de Andverpia et nunc moram trahens in civitate Mediolani in Porta Nova, [...] in domo habitationis magnifici domini Leonis Aretini Cesarei sculptoris". Jacques, che verosimilmente lavorava come orafo per Antoine Perrenot già nel 1551, doveva aver conosciuto Leoni a questa data – attraverso il prelato – o forse qualche anno prima, nel 1549. Il documento in questione non reca però traccia alcuna di un rapporto duraturo, subordinato e professionale tra i due, come avviene di regola nella designazione di discepoli, e l’espressione "moram trahens" non equivale a "résidant" – come propone la traduzione di Luc Smolderen – perché il linguaggio cancelleresco la impiega anche per designare soggiorni temporanei.30 Esso descrive solo un accordo di natura finanziaria nell’ambito di un rapporto di ospitalità: Leoni versò infatti a Jonghelinck "de denariis propriis [...] scuta sex auri Itali" perché questi estinguesse per lui un debito contratto ad Anversa con l’orafo Jean van Ost per l’acquisto di arazzi, in tutta probabilità nel 1549. Data e contenuto della delega fanno anzi credere che nel 1552 Jonghelinck si apprestasse a ritornare in patria, in concomitanza con il ritorno di monsignor di Granvelle, suo protettore, dal Tirolo ai Paesi Bassi. Il 6 novembre 1553, infatti, l’artista sarebbe stato pagato alla Zecca di Anversa per il "patroen" del nuovo fiorino Carolus d’argento, da lui eseguito e consegnato nei mesi precedenti.31

[12] Anche per Jonghelinck, dunque, il topos storiografico potrebbe avere deformato la valutazione storica: non a caso l’ipotesi che egli si fosse formato in "Italia" o presso "italiani" fu formulata ben prima della scoperta del documento sugli arazzi.32 Ora, nel 1552 Jonghelinck approfittò sicuramente del suo soggiorno milanese per studiare opere d’arte e comprare o replicare medaglie: come sottolineato da Smolderen, i suoi lavori rivelano grande attenzione per la plastica dell’area padana, non solo nei confronti di Leoni, ma anche di Pastorino Pastorini (1508 ca.–1592) e Pietro Paolo Romano (attivo dal 1548 al 1570 ca. e forse identificabile con Pietro Paolo Tomei).33 Nondimeno, per giustificare la cultura figurativa di Jonghelinck non è necessario puntare tutto sul suo tardivo soggiorno a Milano (che cadde quando l’artista era già formato e non necessitava di un apprendistato). Né occorre immaginare che egli avesse attraversato l’Europa assieme a Pieter Bruegel il Vecchio (†1569) in un viaggio di formazione (come ipotizzano Larry Silver e Manfred Sellink):34 il medagliere di Antoine Perrenot gli aveva infatti messo a disposizione cere e rilievi metallici già a partire dalla fine degli anni quaranta.35

[13] Il carteggio del prelato rivela inoltre quali pratiche avessero messo Jonghelinck in contatto quotidiano con opere di plasticatori, scultori e incisori di coni provenienti dalla penisola italica. Nel 1555, ad esempio, egli eseguì a sbalzo in argento gli esemplari di prova di una medaglia i cui coni erano stati forniti, in acciaio non ancora temprato, da Leone Leoni, e si prese poi carico di coniarne altri esemplari con un torchio ideato dallo stesso monsignor di Granvelle.36 Fino almeno al 1572, quando era già uno scultore riconosciuto, Jacques continuò a replicare e riadattare per il Perrenot medaglie di altri artisti che ritraevano il prelato, ma anche i sovrani e altre figure a lui legate.37 Una medaglia del cardinal Francisco de Pacheco y Toledo (1508–1579), ad esempio, fu "donné à Jonghelin" nel 1569 "afin de l’adjancer [...] et la trajecter en argent", cioè "perché la riadattasse/rifinisse e la gettasse in esemplari argentei"; questi dovevano essere poi inviati al Perrenot, che ne aveva spedito il modello o un abbozzo incompleto da Roma, dove si trovava.38 La versione di Jonghelinck può essere ora identificata in una medaglia sfuggita ai lavori dedicati da Smolderen allo scultore, custodita al Museo Nazionale del Bargello di Firenze (fig. 8) e ivi classificata come un lavoro nello "stile di Pastorino": la stilizzazione della barba e dell’iride rivelano però chiaramente la mano dell’anversate.39

8 Jacques Jonghelinck (da artista non identificato), Cardinal Francisco de Pacheco de Toledo, 1569 ca., esemplare incuso in argento, diam. 47 mm. Museo Nazionale del Bargello, Firenze, inv. 6702 (Su concessione del Ministero della Cultura, Museo Nazionale del Bargello, Firenze, con divieto di ulteriori riproduzioni)

[14] Questa disponibilità a operazioni di finitura, riadattamento e replica ha contribuito a conferire a Jonghelinck una posizione subalterna in sede critica; tuttavia, furono queste pratiche la palestra attraverso cui egli acquisì e mantenne familiarità con artefatti di provenienza svariata, come osservato da Tourneur in un fondamentale saggio, e maturò così il proprio profilo individuale.40 Lo dimostra anche la medaglia di Francisco Pacheco (fig. 8), così profondamente reinterpretata da Jacques con interventi di formatura, reimpaginazione, integrazione epigrafica, cesellatura a freddo e forse rimodellazione, da avere reso ostica la sua classificazione nel panorama della microplastica "italiana" anche per gli specialisti. È alla luce di simili opere – tutt’altro che rare nella produzione degli artisti che servirono monsignor di Granvelle negli antichi Paesi Bassi – che l’esigenza di separare medaglie sulla base di distinzioni nazionali rivela la sua arbi-trarietà.

[15] In conclusione, la medaglia leoniana di Anthonis Mor e le varianti e repliche eseguite da Jonghelinck a partire da medaglie di artisti vicini e lontani esemplificano assai bene gli effetti del mecenatismo di Antoine Perrenot che vorremmo mettere in evidenza: la contiguità tra pittori e scultori di provenienza diversa all’interno della sua cerchia, e il moltiplicarsi di occasioni che li inducevano all’interazione e all’emulazione nei rispettivi media – un elemento che le lettere del prelato sottolineano con orgoglio anche per il ruolo che tale dialogo gli riconosceva implicitamente.41 Presso monsignor di Granvelle – figura poliglotta e quasi cosmopolita per interessi e rete di contatti – si crearono le condizioni perché la mobilitazione di opere e artefici contribuisse all’elaborazione di una cultura che non rispecchiava così fedelmente il profilo linguistico, i natali e la formazione iniziale dei suoi protagonisti. Più che a favorire un’"influence italienne", egli fu interessato a facilitare l’incontro tra tradizioni e saperi tecnici diversi.

[16] Rimane ora da sottolineare un ultimo punto: tra gli artisti che lavorarono per Antoine Perrenot, i debiti culturali non si registrano solo da parte di quelli nati negli antichi Paesi Bassi. Nel 1554, ad esempio, Jacopo da Trezzo fuse una medaglia di Maria Tudor (fig. 9) dopo essere entrato al servizio di Filippo II ed essersi trasferito da Milano a Bruxelles e da qui a Londra, al seguito del suo sovrano. Rispetto alle opere lombarde dell’artista, il ritratto della regina d’Inghilterra presenta uno scarto stilistico e iconografico notevole, giustificabile alla luce del fatto che Jacopo ne avesse visto l’effigie su tavola eseguita da Mor (1554, Madrid, Museo Nacional del Prado, inv. P002108) o avesse abbozzato la propria medaglia proprio mentre il collega realizzava il dipinto.42

9 Jacopo Nizolla da Trezzo, diritto: Maria Tudor, rovescio: Pace, 1554, oro, diam. 69 mm. The British Museum, Londra (© The Trustees of the British Museum, Londra)

[17] All’ombra del Perrenot si crearono quindi anche interazioni figurative non riducibili allo schema di un adeguamento degli artisti "fiamminghi" agli "italiani", e alimentate piuttosto dal loro convergere. Già Federico Zeri (1957), nel descrivere un nuovo modus ritrattistico diffuso a Roma dalla presenza di Mor e profondamente assimilato da Scipione Pulzone († 1598), aveva preferito sottolinearne le fonti plurime e definirlo "internazionale", piuttosto che farne una questione di primato tra scuole.43 Alle sue osservazioni bisognerà se mai aggiungerne un’altra: i canali e le occasioni attraverso cui Mor poté conoscere "esemplari della ritrattistica italiana", cogliere "riflessi dei moduli iconografici di Hans Holbein" e disseminare la sua "formula" per il continente – secondo la ricostruzione di Zeri – non furono creati solo dai viaggi giovanili del pittore e dalla sua attività in metropoli come Roma e Anversa, ma anche dal suo inserimento nei circuiti culturali legati al suo primo protettore, Antoine Perrenot.

Reviewers
Anonymous;
Minou Schraven, Amsterdam University College

Local Editor
Andrea Lermer, Zentralinstitut für Kunstgeschichte, Munich

License
The text of this article is provided under the terms of the Creative Commons License CC-BY-NC-ND 4.0.

* Questo contributo, tuttora inedito, è stato presentato nell’ambito del convegno Antiquité, art et culture. Les Granvelle au cœur de la Renaissance, Besançon, 16–18 novembre 2017, organizzato da Catherine Chédeau e Rudy Chaulet. Una prima versione della parte relativa alla medaglia di Anthonis Mor è stata discussa come work-in-progress paper all’Italian Academy di New York il 22 aprile 2008, nell’ambito di una Fellowship cofinanziata dalla Kress Foundation. L’autore intende ringraziare Andrea Lermer e le/i peer-reviewers anonime/i per aver contribuito al miglioramento del testo.

1 Per un ripensamento dei filtri nazionalizzanti applicati dalla storiografia artistica del XIX e XX secolo sono fondamentali le pagine di Thomas DaCosta Kaufmann, Towards a Geography of Art, Chicago/London 2004 (in part. le pp. 107-153 per il riferimento agli antichi Paesi Bassi e ai centri del potere asburgico). Nel presente contributo, il concetto di "rete culturale" protomoderna ricalca quello proposto da Findlen e da Midura, e si riferisce a un gruppo di contatti, epistolari o coltivati di presenza, attraverso cui figure chiave come Antoine Perrenot mobilitarono artefatti, persone e informazioni da distanze cospicue, usufruendo di viaggi, infrastrutture e relazioni privilegiate grazie alla propria posizione. Nel caso in questione, la posizione di monsignor di Granvelle all’interno di quella che propendiamo a descrivere come una rete culturale era legata alla sua dignità ecclesiastica e al suo ruolo politico, ma si avvantaggiava anche di rapporti risalenti ai suoi anni di studio. Paula Findlen, "Introduction – Early Modern Scientific Networks: Knowledge and Community in a Globalized World, 1500–1800", in: Paula Findlen (dir.), Empires of Knowledge: Scientific Networks in the Early Modern World, London/New York 2019, 1-22: 2-4; Rachel Midura, "Conceptualizing Knowledge Networks: Agents and Patterns of 'Flow'", in: Findlen (dir.; 2019), 373–377 (con bibliografia).

2 Sul mecenatismo del Perrenot cfr. soprattutto Jacqueline Brunet and Gennaro Toscano (dir.), Les Granvelle et l’Italie au XVIe siècle, Besançon 1996; Krista De Jonge e Gustaaf Janssens (dir.), Les Granvelle et les anciens Pays-Bas, Leuven 2000 (con rinvii ad altri contributi fondamentali di Krista De Jonge sul tema); Nils Büttner, "Pulchrum et utilitas: Naturverständnis und Welterfahrung in der frühen Neuzeit am Beispiel der 'Granvella-Gärten'", in: Die Gartenkunst, n.s., 14 (2002), 26-34; Walter Cupperi, "'Per la delettatione che delle memorie antiche generosamente suol prendere': le antichità di Antoine Perrenot de Granvelle, il Bacco D’Aspra-Guisa ed un’ipotesi sul Dioniso di Versailles", in: Römisches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana 40 (2012), 49-80 (con bibl.); Almudena Pérez de Tudela, "Las relaciones artísticas de Antonio Perrenot con la ciudad de Nápoles previas a su virreinato en su correspondencia conservada en el Palacio Real de Madrid", in: Antonio Ernesto Denunzio et al. (dir.), Dimore signorili a Napoli: Palazzo Zevallos Stigliano e il mecenatismo aristocratico dal XVI al XX secolo, convegno internazionale di studi, Napoli, 20–22 ottobre 2011, Palazzo Zevallos Stigliano – Palazzo Reale, Napoli 2013, 323-344; T. Kimball Brooker, "The Library of Antoine Perrenot de Granvelle", in: Bulletin du bibliophile 1 (2015), 23-74; Edward H. Wouk, "Antoine Perrenot de Granvelle, the Quatre Vents Press, and the Patronage of Prints in Early Modern Europe", in: Simiolus 38 (2015–2016), 31-61; Laurence Reibel e Lisa Mucciarelli-Régnier (dir.),Antoine de Granvelle, l’éminence pourpre: images d’un homme de pouvoir de la Renaissance, cat. della mostra (Besançon, Musée du Temps), Cinisello Balsamo 2017. Sul ruolo di mediazione tra gli artisti e gli Asburgo rivestito da mons. de Granvelle cfr. p.e. Matteo Mancini, Tiziano e le corti d’Asburgo nei documenti degli archivi spagnoli, Venezia 1998 (= Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Memorie, Classe di scienze morali, lettere ed arti, 75), 169-233, n. 49-111.

3 Di particolare interesse storico-artistico le lettere pubblicate in Eugène Plon, Leone Leoni, sculpteur de Charles-Quint, et Pompeo Leoni, sculpteur de Philippe II, Paris 1887, 353-386; Cesare Greppi, Lettere di artisti italiani ad Antonio Perrenot de Granvelle, Madrid 1977; Almudena Pérez de Tudela, "Algunas notas sobre el gusto de Felipe II por la escultura en su juventud a la luz de nuevas cartas entre el Obispo de Arrás y Leone Leoni", in: Archivo español de arte 72 (2000), 249-266; Fernando Bouza, Palabra e imagen en la corte: cultura oral y visual de la nobleza en el Siglo de Oro, Madrid 2003; Júlia Benavent e Miriam Bucuré, Epistolario inédito entre Ruggero de Tassis y el Cardenal Granvelle (1536–1565), Prato 2017; Cupperi (2012); Giulia Grata, Des lettres pour gouverner: Antoine Perrenot de Granvelle et l’Italie de Charles Quint dans les manuscrits Trumbull de Besançon, Besançon 2014; Henning Wrede, "Madrider Briefe des Antoine Morillon (um 1520–1556) und des Stephanus Pighius (1520–1604) an Antoine Perrenot de Granvelle", in: Pegasus: Berliner Beiträge zum Nachleben der Antike 17 (2015), 65-108.

4 Henri Pirenne, Histoire de Belgique, 7 voll., Bruxelles 1900–1932, III, risp. 285, 310 e 292. Cfr. Julien Simo-nis, L’art du médailleur en Belgique, 2 voll., Jemeppe-sur-Meuse 1900–1904, I, 117, per il quale la storia della medaglia nei Paesi Bassi meridionali era scandita da fasi segnate da una massiccia presenza "italiana" e reazioni che risollevavano l’"art national".

5 Pirenne (1900–1932), III, 385, nota 2 (corsivo di chi scrive). Ringrazio qui Massimo C. Giannini, che ha richiamato la mia attenzione sulle pagine dedicate da Pirenne ad Antoine Perrenot.

6 Si veda p.e. Nicole Dacos, "Les peintres romanistes: histoire du terme, perspectives de recherche et exemple de Lambert van Noort", in: Bulletin de l’Institut historique belge de Rome 50 (1980), 161-186: 161-172, contributo che ripercorre e mette in discussione la sfortuna dei pittori definiti "romanisti" rispetto a quelli considerati continuatori di "scuole" locali. Marieke van Wamel, "Zóó goed roomsch en zóó goed spaansch. Anthonis Mor and the Problematic Position of Sixteenth-Century Artists with Spanish Patrons in Dutch Art History", in: Oud-Holland 127 (2014), 49-60: 49, https://doi.org/10.1163/18750176-90000190 (ultimo accesso: 3 aprile 2024), richiama invece l’attenzione sulla sfortuna di Anthonis Moor nella storio-grafia olandese, presentandola come "representative of the consequences which derived from the formation of the Dutch national identity".

7 Per Smolderen, l’evoluzione della medaglia nei Paesi Bassi meridionali intorno al 1550 poteva essere descritta senza considerare l’attività degli artisti di provenienza "italiana" che vi avevano lavorato: "il nous n’appartient pas de décrire ici l’œuvre de ces grands maîtres, qui appartiennent à l’histoire de la médaille italienne et n’ont travaillé chez nous que pour les souverains espagnols et leur ministre Granvelle à l’instar de (Leone) Leoni, qui s’était engagé à n’accepter d’autres commandes que celles de la Cour". Quest’ultima affermazione è peraltro una forzatura non supportata dalla documentazione. Luc Smolderen, La médaille en Belgique des origines à nos jours, Wetteren 2009, 33.

8 Ibidem. Se da un lato la tenuta di scultori come Jacques Jonghelinck viene esaltata, dall’altro il ruolo giocato dal loro rapporto con la corte è descritto in termini tutt’altro che neutri: "la médaille flamande a su garder un caractère realiste et vivant, tout en parvenant à l’assoupir pour en fair un art de Cour souvent aussi raffiné que celui des portraits peints par Anthonis Mor et van Dyck": ibidem (corsivi di chi scrive).

9 Marco Chiarini, in: Luciano Berti (dir.), Gli Uffizi. Catalogo generale, Firenze 1979, 939, n. A621.

10 Esemplari unilaterali in George Francis Hill, "Stephen H., Medalist and Painter", in: The Burlington Magazine 12 (1908), 355-363: 362; Perry B. Cott, Renaissance Bronzes, Statuettes, Reliefs and Plaquettes, Medals and Coins from the Kress Collection, Washington, D.C. 1951, 204 (as "Herwijck?"); George Francis Hill e John Graham Pollard, Renaissance Medals from the Samuel H. Kress Collection at the National Gallery of Art. Based on the Catalogue of Renaissance Medals in the Gustave Dreyfus Collection, London 1967, p. 122 n. 637; John Graham Pollard, Renaissance Medals (= The Collections of the National Gallery of Art Systematic Catalogue, National Gallery of Art, Washington), with the assistance of Eleonora Luciano and Maria Pollard, 2 voll., Oxford/New York 2007, II: France, Germany, the Netherlands, and England, 775, n. 79.

11 Hill (1908), 362; Henri Hymans, Antonio Moro, son œuvre et son temps, Bruxelles 1910, 107-108 ("STE H", forse Jean Stevens van Calcar, ma confonde le due versioni); Lieneke C. J. Frerichs, Antonio Moro, Amsterdam [1947], 55 e 59 (van Herwijck); Victor Tourneur, "À propos d’Étienne de Hollande", in: Revue belge de numismatique et de sigillographie 68 (1912), 104-105: 105 (diritto anonimo, rovescio di Étienne de Hollande); George Francis Hill, "Recent Acquisitions for Public Collections IV: Steven H. – the British Museum", in: The Burlington Magazine 33 (1918), 54-59: 57 (Steven H.).

12 Alexandre Pinchart, "Biographie des graveurs belges: Étienne Van Hollant, Lucas d’Assonneville, Jean Gabry, Nicolas de Spinelli, C. d’Assignies, Sigebert Waterloos, J. Boskam", in: Revue de la numismatique belge, s. III, 4 (1860), 178-373: 181, n. XIII (Étienne van Hollant); Simonis (1900–1904), II, 104-105 (Jonghelinck); Hill (1908), 362 (Steven H.); Tourneur (1912), 105 (diritto anonimo, rovescio di Étienne de Hollande); Hill (1918), 57 (Steven H.); Victor Tourneur, "Le médailleur anversois Steven van Herwijk", in: Revue belge de numismatique et de sigillographie 73 (1921), 27-55: 54 (anonimo anversate per il diritto); Victor Tourneur, "Steven van Herwijk, médailleur anversois (1557–65)", in: The Numismatic Chronicle and Journal of the Royal Numismatic Society, s. V, 2 (1922), 91-132: 123 e 127; Gay van der Meer, in: Jan Piet Filedt Kok e Willy Halsema-Kubes (dir.), Kunst voor de beeldenstorm: Noordnederlandse kunst 1525–1580, cat. della mostra (Rijksmuseum, Amsterdam), L’Aia 1986, 338, n. 215 (van Herwijck).

13 Hill (1908), 362.

14 Joanna Woodall, Anthonis Mor: Art and Authority, Zwolle 2007, 45.

15 Su van Herwijck cfr. Hill (1918); Tourneur (1921); Tourneur (1922); Victor Tourneur, "Steven van Herwijck et les baillis de l’Ordre de Malte à Utrecht", in: Revue belge de numismatique et de sigillographie 93 (1947), 59-66; Victor Tourneur, "La médaille de Guilielmus Fabius de Steven van Herwijck", in: Revue belge de numismatique et de sigillographie 94 (1948), 101-104; Hill e Pollard (1967), 122 n. 637 (con bibl.); Luc Smolderen, "Sine Cerere et Libero friget Venus. À propos de trois médaillons de Steven van Herwyck", in: Revue belge de numismatique et de sigillographie 140 (1994), 89-91; Smolderen (2009), 35-37.

16 Hendrik Enno van Gelder identificò con Van Herwijck la figura maschile effigiata davanti a due anelli, un pendente e una cassetta in un dipinto di Mor datato "1564" e conservato al Mauritshuis dell’Aia (Hendrik Enno van Gelder, "Moro’s 'Goudsmid'", in: Nederlands kunsthistorisch Jaarboek s.n. [1947], 47-53). Per tale proposta, la premessa che nel 1558 Steven avesse eseguito una "portretpenning" del pittore (p. 49) giocava un ruolo fondamentale, anche se non decisivo. Ora, non si può affatto escludere che i due artisti – attivi per diversi anni ad Anversa e forse contemporaneamente nella loro città natale, Utrecht, nel 1564 – si conoscessero e lavorassero l’uno per l’altro; tuttavia, la medaglia qui discussa non può essere considerata prova di tali rapporti. Per questo, anche l’identificazione del personaggio ritratto nella tavola al Mauritshuis (accettata senza riserve da Woodall [2007], 412-413) va considerata con qualche cautela.

17 La medaglia di Sigismondo Augusto III di Polonia, datata "1562" e opera di van Herwijck (Pollard e Luciano [2007], II, 774, n. 778), si presta bene al confronto con il ritratto di Mor (figg. 2 e 3), perché presenta proporzioni simili, ma dimostra una stilizzazione degli occhi e delle barba completamente diversa.

18 Giuseppe Toderi e Fiorenza Vannel, Le medaglie italiane del XVI secolo, 3 voll., Firenze 2000, I, 53, n. 69; 58, n. 88. Per la medaglia di Antoine Perrenot: Luc Smolderen, "Les médailles de Granvelle", in: Krista De Jonge e Gustaaf Janssens (dir.), Les Granvelle et les anciens Pays-Bas, Leuven 2000, 293-320: 297, n. V.

19 Già Hymans (1910), 108, osservò a proposito del diritto che "la pièce se ressent de l’étude de Leone Leoni", ma non trasse le giuste conclusioni. Su Leoni medaglista: Walter Cupperi, "La riscoperta delle monete antiche come codice comunicativo: l’iconografia italiana dell’imperatore Carlo V d’Asburgo nelle medaglie di Alfonso Lombardi, Giovanni da Cavino, 'TP', Leone e Pompeo Leoni (1530–1558)", in: Saggi e memorie di storia dell’arte26 (2002), 31-85.

20 Cfr. per esempio i rovesci delle medaglie di Filippo II, Daniel de Hanna e Carlo V (risp. Giuseppe Toderi e Fiorenza Vannel, Medaglie italiane del Museo Nazionale del Bargello, 4 voll., Firenze 2003–2007, I, 50, n. 60; 277, n. 797; 45, n. 38). Per una revisione del catalogo di Leone Leoni si rinvia a Walter Cupperi, Culture di scambio: medaglie e medaglisti italiani tra Milano e Bruxelles (153571), Pisa 2020, 107-138.

21 Cfr. risp. la lettera di Antoine Perrenot a Leoni s.d., ma del 1548 (Plon [1887], 253, n. 1), e quella del prelato a Martín de Aragón del 24 marzo 1549 (Bouza [2003], 112; 144, n. XXXIV).

22 Rudolf Beer, "Acten, Regesten und Inventare aus dem Archivo General zu Simancas", in: Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen des Allerhöchsten Kaiserhauses 12 (1891), XCI-CCIV: XCVIII; Juan Cristóbal Calvete de Estrella, El felicissimo Viaje del muy alto y muy poderoso Principe d. Phelippe [...], Anversa 1552, c. 220r.

23 Alexandre Pinchart, Archives des arts, sciences et lettres: documents inédits, 3 voll., Gand 1860–1881, III, 202; Hymans (1910), 29-34; Walter Cupperi, "Arredi statuari nelle regge dei Paesi Bassi asburgici meridionali (1549–56), parte I: Maria d’Ungheria, Leone Leoni e la galleria di Binche", in: Prospettiva. Rivista di storia dell’ arte antica e moderna nn. 113-114 (2004), 98-116: 101-102; Woodall (2007), 136. Il ritratto di Antoine Perrenot del 1549 è conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna.

24 Minuta senza data in risposta a una lettera di Leoni del 28 giugno 1550, pubblicata in Plon (1887), 360, n. 18; testo emendato e contestualizzato in Cupperi (2004), 113, nota 46; e pp. 101-104. Sull’attività di Mor nella Penisola iberica: Fernando Marías, "Revisando a Antonio Moro entre España y Portugal", in: María José Redondo Cantera e Vitor Serrão (dir.), O largo tempo do Renascimento. Arte, Propaganda e Poder, Lisbona 2008, 11-50; Almudena Pérez de Tudela, "Nuevas noticias sobre el primer viaje de Antonio Moro a la Península ibérica y su entrada al servicio de Felipe II", in: Archivo español de arte 89 (2016), 423-429.

25 Plon (1887), 122-123; Woodall (2007), 151.

26 Relazioni tra i Leoni e il pittore sono attestate anche da un ritratto di Diamante, moglie di Leone, "de mano de Antonio Moro": l’opera, che rimane da identificare, fu inventariata in casa del figlio Pompeo, a Madrid, nel 1609 (Margarita Estella Marcos, "La mujer y el arte en los documentos de los siglos XVI y XVII: los miembros femininos de la familia de los Leoni", in: Wilfredo Rincón García et al. [dir.], La mujer en el arte español, Madrid 1997, 117-130: 122). Non è chiaro se la donna avesse posato nel 1556 a Bruxelles (dove la sua presenza al seguito del marito non è documentata) o più verosimilmente in Castiglia nel 1560, durante il viaggio che compì da sola per fare visita al figlio Pompeo, che vi si era trasferito. È però evidente che in qualche modo Mor ricambiò la disponibilità dell’impegnatissimo Leone a effigiarlo.

27 Woodall (2007), 45.

28 Simonis (1900-1904), II, 188; Tourneur (1922), 129.

29 Alexandre Pinchart, Recherches sur la vie et les travaux des graveurs de médailles, de sceaux et de monnaies des Pays-Bas d’après des documents inédits, Bruxelles 1858, I, 313; Emilio Motta, "Giacomo Jonghelinck e Leone Leoni in Milano", in: Rivista italiana di numismatica e scienze affini 21 (1908), 75-81 (documento in estratto); Luc Smolderen, "Jonghelinck en Italie", in: Revue belge de numismatique et de sigillographie 130 (1986), 119-139: 139 (documento integrale); Luc Smolderen, Jacques Jonghelinck: sculpteur, médailleur et graveur de sceaux (1530–1606), Louvain-la-Neuve 1996, 15 (ipotizza un soggiorno durato fino a quattro anni).

30 Smolderen (1986), 139 (traduzione a pp. 124-125, corsivi di chi scrive).

31 Luc Smolderen, "Jacques Jonghelinck, waradin de la Monnaie d’Anvers de 1572 à 1606", in: Revue belge de numismatique et de sigillographie 115 (1969), 83-247: 168, n. 1.

32 Philippe Baert, "Mémoires sur les sculpteurs et architectes des Pays-Bas", [publiées] par M. le Baron de Reiffenberg, in: Compte-rendu des séances de la Commission royale d’histoire ou Recueil de ses bulletins 14 (1848), 39-101: 55 ("quelques années à Rome" come dato certo); Simonis (1900-1904), II, 46.

33 Smolderen (2009), 33. Su Pietro Paolo Romano cfr. Silvio Leydi e Susanna Zanuso, "Pietro Paolo Tomei detto Romano: la ritrovata identità del medaglista 'PPR'", in: Bollettino d’arte, s. VII, 100 (2015), 35-76; Cupperi (2020), 167-179.

34 Larry Silver, Pieter Bruegel, New York/Londra 2011, 42; Manfred Sellink, Bruegel, the Complete Paintings, Drawings and Prints, Gand 2011, 285.

35 Menzioni di medaglie di Leone Leoni in possesso del Perrenot già nel 1548, cioè prima dell’arrivo dello scultore a Bruxelles, si trovano nelle seguenti lettere: Plon (1887), 254, n. 3 (Antonio Patanella al Perrenot, 1 maggio 1547); 253, n. 1 (monsignor di Granvelle a Leoni, s.d., ma 1548).

36 Plon (1887), 376, n. 53 (lettera del Perrenot a Leoni del 14 dicembre 1555).

37 Victor Tourneur, "Le médailleur Jacques Jongheling et le cardinal Granvelle, 1564–1578", in: Revue belge de numismatique et sigillographie 79 (1927), 80-93: 88-91.

38 Lettera del segretario Maximilien Morillon al Perrenot del 20 novembre 1569, in: Tourneur (1927), 90.

39 Tourneur (1927), 90, ipotizzò che la medaglia riadattata da Jonghelinck potesse essere quella con data "1569" segnalata come anonima nella collezione già Bentivoglio (Alfred Armand, Les médailleurs italiens des quinzième et seizième siècles, 3 voll., Paris 1883–1887, II, 245, n. 6); il numismatico belga evitò tuttavia di trarre conclusioni per non averne mai visto un esemplare né dal vero, né riprodotto. Fu così che il suo suggerimento non fu raccolto né dall’unica monografia sull’artista (Smolderen [1996], dove "fontes et reductions" sono elencate alle pp. 417-429), né dai cataloghi in cui ricomparve la medaglia (Pollard [1984–1985], II, 718, n. 373, "stile di Pastorino"; Toderi e Vannel [2003], I, 150, n. 1380, anonimo romano). Ora, se la provenienza e l’andamento del panneggio rendono in effetti assai verosimile che il modello (o l’esemplare da cui fu tratta la versione del Museo del Bargello) sia stato eseguito a Roma, l’iscrizione e la cesellatura a freddo in questo esemplare sono dovute allo Jonghelinck, come dimostra il confronto con la sua medaglia per Philippe de Croy, che è del 1567 (Smolderen [1996], 284-286, n. 55, tav. LXX).

40 Tourneur (1927), 93.

41 Un esempio eloquente di tale atteggiamento proviene da una minuta senza data del 1551, in cui il Perrenot descrive a Leone Leoni l’esecuzione di calchi dal vero in argento – un’invenzione che pare trarre le proprie origini nell’area di Norimberga: "Vi mando una medaglia fusa qui da quella que faceste in cera dela bella Felipina, acciò vediate que non ha avuto mala sorte el orefice, il quale ne ha getato alcune mie tanto nette, que mi ha fatto stupire; et da lui hanno imparato li miei il fondere le herbe, e già ne hano fuse tante que se ne potria far un gran giardino, in modo che uscendo già la cosa del raro, me piace manco" (citato secondo Plon [1887], 366, n. 32).

42 Pilar Silva Maroto, in: Miguel Falomir Faus (dir.), El retrato del Renacimiento, cat. della mostra (Museo nacional del Prado, Madrid), Madrid 2008, 398, n. 120. Su Jacopo da Trezzo cfr. Cupperi (2020), 139-153.

43 Federico Zeri, Pittura e Controriforma: l’arte senza tempo di Scipione da Gaeta, Torino 1957, 16-17. Woodall (2007), 101, colloca ipoteticamente il viaggio di Mor a Roma tra 1541 e 1544, anticipandone la datazione tradizionale (1549/50 e 1551/52).