RIHA Journal 0338 | 18 December 2025

La veduta di Napoli di Jan van Stinemolen: esperienza visiva e suggestioni letterarie

Stefano D'Ovidio

Abstract
This essay examines Jan van Stinemolen's view of Naples by moving beyond the traditional comparison with historical cartography. Unlike the maps by Du Perac/Lafréry (1566) and Baratta (1627), which were conceived with a primarily topographical intent, Stinemolen's drawing is interpreted as a visual device evoking in the viewer the experience of a panoramic vista. Within this framework, several features previously regarded as distortions or omissions in the city's depiction – such as the absence of the upper Decumanus as well as the duplication or displacement of certain buildings – can be reconsidered. The parallel with sixteenth- and seventeenth-century published descriptions of Naples suggests alternative modes of engagement, prompting the viewer to enter imaginatively into the urban space. The adoption of multiple viewpoints is linked to the setting on the northern hills, which shaped the city into a kind of "theatre" – a recurrent topos in Early Modern accounts of Naples – without privileging a single vantage point but rather combining plausible views into a unified portrait, in line with Stinemolen's visual rhetoric and with the literary renown of the city in the sixteenth century.

Interpretazioni storiografiche

[1] Sin dalla prima pubblicazione nel 1969, la veduta di Napoli di Jan van Stinemolen ha sollevato interrogativi sulla sua plausibilità topografica. Non esiste infatti nella realtà un luogo da cui è possibile vedere la città così come è ritratta nel disegno dell'Albertina. Cesare De Seta, che in un primo momento aveva ipotizzato un punto di osservazione coincidente "approssimativamente [...] con l'eremo dei Camaldoli",1 ha in seguito individuato due punti di vista privilegiati, l'uno da San Martino, l'altro da Capodimonte.2 La fusione delle due visuali in un unico disegno – redatto, secondo lo studioso, a distanza di tempo e lontano dal modello originale in base a schizzi eseguiti in sito anni prima – risulta in molteplici "deformazioni topografiche occultate con grande destrezza",3 dalla duplicazione di edifici alla omissione del decumano superiore. Michele Furnari ha quindi considerato la veduta "poco attendibile come riferimento topografico complessivo",4 ipotizzando l'esistenza di un terzo punto di vista, identificabile nella villa del Belvedere al Vomero, necessario per la ripresa di scorcio di Castel dell'Ovo.5 Alle "deformazioni" derivanti da questa impostazione la critica ha contrapposto la cura meticolosa nella resa di edifici e di singoli settori urbani, raffigurati in maniera assai realistica in quanto ritratti originariamente in sito. Come sintetizza Leonardo Di Mauro, si tratta dunque di "una veduta impossibile [...] ed irrealistica nel suo insieme, ma di grande interesse topografico",6 almeno per quanto attiene a singole architetture e scorci urbani.

[2] La datazione alta proposta da De Seta per la ripresa dal vivo della città ("prima metà del Cinquecento")7 in base a osservazioni di natura topografica (scarsa urbanizzazione del centro e assenza del nuovo arsenale, eretto a partire dal 1577) è stata accolta in seguito dagli studi,8 che pongono così la veduta di Stinemolen alle origini della tradizione cartografica napoletana d'età moderna: anteriore alla pianta di Étienne Du Perac e Antoine Lafréry (1566) di "almeno dieci anni",9 sarebbe da ritenere la "prima veduta cinquecentesca topograficamente realistica" di Napoli,10 paragonabile per rilevanza alla più tarda raffigurazione della città di Alessandro Baratta (1627).11 Mentre tuttavia le piante Du Perac/Lafréry e Baratta s'imporranno come prototipi visivi della rappresentazione cartografica di Napoli fino al XVIII secolo, il disegno di Stinemolen, come osserva De Seta, "non ha avuto nessuna influenza sui modelli iconografici successivi, almeno fino ai primi dell'Ottocento, cioè in un contesto del tutto diverso, visto che rimase sepolta chissà dove, come foglio unico, fino a quando fu acquisito nelle collezioni dell'Albertina".12

[3] L'interpretazione della veduta in sede storiografica è stata dunque condizionata finora dall'inevitabile confronto con la ricca tradizione cartografica napoletana esaminata nella lunga durata. Le sue caratteristiche specifiche sono state sempre analizzate nell'ambito di una narrazione continua sull'iconografia urbana di Napoli, dunque in relazione ad altre immagini della città, prodotte con modalità e intenti diversi: la vista dall'entroterra anziché dal mare, inusuale ma non del tutto estranea all'iconografia cinquecentesca,13 la rende complementare alla pianta Du Perac/Lafréry;14 la resa minuziosa degli edifici e delle strade in prospettiva offrirebbe un ritratto attendibile dello spazio urbano, in anticipo di molti decenni sulla veduta di Baratta.15 La ricerca condotta nell'ambito del progetto di annotazione digitale curato dalla Bibliotheca Hertziana si è posta invece l'obiettivo di studiare il disegno dell'Albertina come manufatto artistico, ricorrendo al confronto con altre testimonianze della cartografia storica, oltre che delle fonti testuali, non tanto per evidenziarne gli errori, quanto per coglierne i tratti distintivi.

Modalità di fruizione: l'esperienza visiva di una veduta panoramica

[4] Rispetto alle piante Du Perac/Lafréry e Baratta, la veduta di Stinemolen presenta una sostanziale differenza relativa alla modalità di fruizione. Nelle prime due, destinate alla stampa e soggette ad ampia circolazione, la legenda guida l'osservatore nella lettura dell'immagine, consentendogli di individuare con esattezza edifici, strade, mura, porte e ogni altro elemento caratterizzante dello spazio urbano, o almeno tutti quelli che i rispettivi autori hanno ritenuto opportuno indicare. Viceversa, in Stinemolen l'assenza della legenda, non necessaria in un disegno con finalità artistiche, sollecita l'osservatore a compiere autonomamente l'operazione di individuazione, la cui riuscita è direttamente proporzionale alla sua conoscenza della città e alla capacità di identificarne i luoghi notevoli, sia per la loro fisionomia specifica sia in relazione allo spazio che occupano. Si rievoca così l'esperienza visiva generata dalla contemplazione di una veduta panoramica della città, in cui lo sguardo spazia continuamente dal generale al particolare, dal sito eccezionale in cui sorge l'abitato – con il vulcano incombente, le colline rigogliose che lo circondano, l'ampia e comoda apertura del Golfo proteso verso il mare – alle singole emergenze architettoniche e al dettaglio di strade e piazze che ne definiscono il profilo, provando di volta in volta a individuare e a riconoscere ogni elemento distintivo dello spazio urbano e di quello naturale, esattamente come si è indotti a fare di fronte alla veduta panoramica di una città.

[5] L'intento vedutistico-esperienziale sembra dunque prevalere in Stinemolen su quello topografico, ma proprio per questo motivo la sua raffigurazione di Napoli risulta persino più verosimile di quelle eseguite da Du Perac/Lafréry e Baratta. Nessun osservatore infatti potrà mai vedere la città dal mare così come la mostrano queste due ultime rappresentazioni urbane, nemmeno se potesse osservarla a volo d'uccello, mentre è ancora oggi possibile contemplarla dalle colline a nord-ovest di Napoli in maniera non molto dissimile da come la raffigura Stinemolen.16 L'assenza del decumano superiore si può spiegare con il fatto che la percezione di questo asse viario della città greco-romana è sempre alterata nella realtà, perché, a differenza degli altri due decumani, la strada non segue un percorso pianeggiante, ma attraversa la parte più elevata dell'abitato intramurano mediante salite e discese continue. È quindi impossibile discernere il perfetto allineamento dei tre decumani come in Du Perac/Lafréry (fig. 1) e Baratta (fig. 2) se non servendosi di una planimetria, mentre da Sant'Elmo o da qualsiasi altro punto panoramico di Napoli il decumano superiore è occultato alla vista (fig. 3) e riconoscibile solo per la sequenza delle fabbriche che vi si addensano, come accade in Stinemolen (fig. 4). Il disegnatore olandese esprime dunque in maniera realistica l'orografia accidentata della città ed è forse questo aspetto che ha voluto enfatizzare raffigurando il profilo scosceso del suolo, spesso privo di costruzioni ma ricoperto da vegetazione spontanea e da coltivazioni (caratteristica peculiare della condizione socio-ambientale di Napoli sin dal Medioevo), persino in quei settori come il centro storico che all'epoca dovevano apparire più urbanizzati di quanto mostri la veduta. Il connubio tra paesaggio naturale e paesaggio costruito assume d'altronde molteplici sfumature nella poetica di Stinemolen.17

1 Étienne Du Perac e Antoine Lafréry, Nobile Cita di Napole […] suo vero Ritratto, 1566, incisione su rame, 518 × 832 mm, Bibliothèque nationale de France, Parigi, collocazione GE DD-655 (102RES), particolare del centro antico da applicazione web (immagine: © BnF, Parigi; applicazione web: Bibliotheca Hertziana – MPI, Roma)

2 Alessandro Baratta, Fidelissimae Urbis Neapolitanae cum omnibus viis accurata et nova delineatio, 1627/1670, incisione su rame, 930 × 2860 mm, Bibliothèque nationale de France, Parigi, département Cartes et plans, collocazione GE C-491, particolare del centro antico da applicazione web (immagine: BnF, Parigi; applicazione web: Bibliotheca Hertziana – MPI, Roma)

3 Napoli su Google Earth, veduta del centro antico da Castel Sant'Elmo, URL: https://earth.google.com/web/@40.84652488,14.25286203,37.38762978a,1103.46418213d,35y,75.79823926h,72.4997936t,360r (accesso 16 ottobre 2025)

4 Jan van Stinemolen, Panorama di Napoli, 1582, disegno, 462 × 1219 mm, Albertina, Vienna, inv. 15444, particolare del centro antico da applicazione web (immagine: © Albertina, Vienna; applicazione web: Bibliotheca Hertziana – MPI, Roma)

[6] Il lavoro di annotazione condotto nell'ambito del progetto curato dalla Bibliotheca Hertziana ha individuato circa 150 occorrenze tra edifici – in prevalenza chiese, ma anche palazzi, castelli, torri, porte, mura, fontane e altre infrastrutture pubbliche, insieme ai seggi della città –, strade, piazze e altri elementi del paesaggio urbano. Quasi tutte le costruzioni sono riconoscibili, non soltanto per la loro facies architettonica, perfettamente riprodotta pur nella minutezza del disegno, ma anche per la posizione reciproca all'interno della città. Attraverso questi markers visivi l'osservatore è guidato nel processo di individuazione, per cui, una volta identificato un particolare edificio per le sue fattezze e/o per la sua ubicazione, può muoversi con lo sguardo e identificare gli altri. Ad esempio, se si osserva l'estremità orientale della città si riconosce la mole di Castel Capuano (fig. 5).

5 Jan van Stinemolen, Panorama di Napoli, 1582, disegno, 462 × 1219 mm, Albertina, Vienna, inv. 15444, particolare del settore nord-orientale della città da applicazione web (immagine: © Albertina, Vienna; applicazione web: Bibliotheca Hertziana – MPI, Roma)

In alto a sinistra è la chiesa di Santa Caterina a Formiello accanto alla Porta Capuana e, procedendo in senso antiorario, San Giovanni a Carbonara, Santa Maria della Pietà e i Santi Apostoli. Continuando in senso antiorario intorno al castello, in basso a destra di quest'ultimo si scorge l'Annunziata e infine San Pietro ad Aram a ridosso delle mura, fabbriche poste entrambe a sinistra di Porta Nolana. La sequenza di tutti questi edifici è quindi esattamente la stessa che si riscontra nella realtà, sebbene la distanza effettiva tra alcuni di loro appaia maggiore (la Pietà è più vicina a Carbonara, come San Pietro ad Aram all'Annunziata). La perfetta coerenza topografica passa dunque in secondo piano rispetto all'esperienza visiva, instillando al contempo nell'osservatore quel senso di indefinitezza che si prova nella realtà quando si tenta di individuare i luoghi notevoli di una veduta panoramica.

Errori topografici e percezioni alternative dello spazio urbano

[7] La modalità di lettura della veduta appena descritta può applicarsi a ogni altro settore della città, con alcune eccezioni. La più rilevante riguarda la posizione del duomo (fig. 6), che risulta slittato verso sud in un'area compresa tra il decumano inferiore e quello maggiore, mentre dovrebbe trovarsi tra quest'ultimo e il decumano superiore.18 La sua individuazione è assicurata dall'aspetto della fabbrica, in cui si colgono le diverse parti del complesso come dovevano apparire prima che fosse innalzata la cappella di San Gennaro: la basilica di Santa Restituta con il battistero a nord-est, la lunga navata della cattedrale angioina con l'abside poligonale (poi ricostruita alla fine del Cinquecento), sormontata da una grande lanterna. A destra della facciata si sviluppa un blocco rettilineo di edifici che chiudeva a sud lo slargo antistante il duomo e trova riscontro nella pianta Du Perac/Lafréry (fig. 7).19 La presenza di un alto campanile – non più esistente in realtà nel XVI secolo, ma raffigurato nella stessa posizione in cui sorgeva la torre medievale20 – serve probabilmente a qualificare la destinazione ecclesiastica dell'edificio: quasi tutte le chiese del disegno ne sono infatti dotate, consentendo di riconoscerle a distanza. L'altezza molto enfatizzata sia della chiesa sia del campanile restituisce l'impressione generata dalla vista in lontananza del duomo, che spicca al di sopra di tutte le altre costruzioni del centro antico. Anche in questo caso la rievocazione di un'esperienza visiva prevale sulla verosimiglianza topografica.

6 Jan van Stinemolen, Panorama di Napoli, 1582, disegno, 462 × 1219 mm, Albertina, Vienna, inv. 15444, particolare con il duomo da applicazione web (immagine: © Albertina, Vienna; applicazione web: Bibliotheca Hertziana – MPI, Roma)

7 Étienne Du Perac e Antoine Lafréry, Nobile Cita di Napole […] suo vero Ritratto, 1566, incisione su rame, 518 × 832 mm, Bibliothèque nationale de France, Parigi, collocazione GE DD-655 (102RES), particolare con il duomo da applicazione web (immagine: © BnF, Parigi; applicazione web: Bibliotheca Hertziana – MPI, Roma)

[8] Ad analoghe conclusioni si giunge a proposito della duplicazione di edifici rilevata dalla critica, ovvero le chiese di Monteoliveto e dello Spirito Santo con la Porta Reale (fig. 8). In effetti, la prima chiesa risulta raffigurata da nord, presumibilmente da un punto prossimo all'attuale Belvedere di Capodimonte, a differenza della maggior parte degli edifici ritratti nella parte superiore (dunque a est) della Strada Reale (odierna via Toledo), che sono ritratti invece da ovest. La sua duplicazione è stata individuata nell'edificio al centro della prima insula nel lato sinistro della Strada Reale, entrando dalla porta omonima.21 Qui è mostrato il fianco di una chiesa con l'abside a sinistra e la facciata a destra, ma Monteoliveto sarebbe visibile in questo modo solo ponendosi a est, non a ovest. Nell'insula opposta della Strada Reale il complesso dello Spirito Santo è raffigurato da ovest. Il suo aspetto, caratterizzato da un corpo centrale con la chiesa e due ali laterali, trova riscontro nella pianta Du Perac/Lafréry (fig. 9), in cui non è numerato ma è rappresentato allo stesso modo ed è riconoscibile per la posizione presso la Porta Reale. Non è chiaro dagli studi quale sarebbe la sua duplicazione, ma sembra potersi trattare della chiesa identificata ipoteticamente nel progetto di annotazione con Santa Maria della Carità, non individuabile nella Du Perac/Lafréry, sebbene sia ricordata da Pietro de Stefano (1560) come "una cappella grande […] edificata in mio tempo".22 L'edificio assume però in Stinemolen dimensioni più ragguardevoli che nella successiva raffigurazione di Baratta. Quanto alla Porta Reale, la sua duplicazione in primo piano nel disegno (fig. 8) sarebbe in effetti plausibile con una vista da nord, ma la posizione corrisponde a quella in cui si verrà a trovare la Porta Medina, costruita nel 1640 al posto di una precedente apertura realizzata abusivamente nel 1597.23

8 Jan van Stinemolen, Panorama di Napoli, 1582, disegno, 462 × 1219 mm, Albertina, Vienna, inv. 15444, particolare del settore nord-occidentale della città da applicazione web (immagine: © Albertina, Vienna; applicazione web: Bibliotheca Hertziana – MPI, Roma)

9 Étienne Du Perac e Antoine Lafréry, Nobile Cita di Napole […] suo vero Ritratto, 1566, incisione su rame, 518 × 832 mm, Bibliothèque nationale de France, Parigi, collocazione GE DD-655 (102RES), particolare con la chiesa dello Spirito Santo da applicazione web (immagine: © BnF, Parigi; applicazione web: Bibliotheca Hertziana – MPI, Roma)

[9] Tenendo presente che l'intento topografico non è dirimente nell'interpretazione del disegno, non è forse nemmeno necessario identificare con sicurezza questi edifici. L'impressione è che l'autore abbia voluto riproporre scorci verosimili, non soltanto dalla distanza, ma anche immaginando di muoversi fisicamente nella città, quando la percezione dello spazio non può contare su riferimenti topografici generali, visibili invece dall'alto. In quest'ottica si potrebbe spiegare l'innaturale intersezione ad angolo quasi retto della Strada Reale con il decumano inferiore (fig. 8), che restituisce la sensazione di attraversare un incrocio ad assi perfettamente ortogonali, quando nella realtà le due strade s'intersecano in diagonale. D'altronde, una delle possibili chiavi di lettura della veduta di Stinemolen è l'invito a entrare nella città attraverso le sue numerose porte e a percorrerne le lunghe strade punteggiate di chiese e di palazzi fino a raggiungere il mare, inteso come un punto di partenza da Napoli e non di arrivo secondo l'iconografia più diffusa – una visione che enfatizzerebbe il ruolo della città come luogo di passaggio e di apertura verso il mondo.

Città disegnata e città narrata: la veduta al confronto con le fonti letterarie

[10] Una volta penetrato con lo sguardo nello spazio urbano, l'osservatore può idealmente passeggiare nelle sue strade, prendendo direzioni che incrociano visuali alternative, non riconducibili a un solo punto di osservazione. Ne è un esempio la raffigurazione della Strada delle Corregge (fig. 10) – denominata Strada Rivera in seguito all'ampliamento promosso dal viceré Pedro Afán de Ribera nel 1559 – che univa la nuova Strada Reale con il Castel Nuovo. Le singole emergenze ritratte da Stinemolen troveranno riscontro ancora nella più tarda descrizione della stessa strada da parte di Carlo Celano:

Hor tirando verso la fortezza si veggono a destra belli e lunghi vichi nobilmente habitati, che vanno a terminare alla Strada Toledo. Vi si veggono belli e commodi palazzi. A sinistra si vede la chiesa e convento de' frati dell'osservanza di san Francesco, detto lo Spedaletto […] dedicata al padre della Vergine San Gioachino […]. Presso di questa chiesa vi è un bellissimo palazzo principiato dagl'antichi duchi di Nocera della casa Carafa, […]. Passò poi questo alla casa Constanzo, nobile nella piazza di Portanova. Dirimpetto a questo, dalla destra vi è il magnifico palazzo fundato […] dal principe di Solmone della casa di Noja […]; hoggi si possiede della nobilissima famiglia Ruffa dei duchi della Bagnara. Passato il Palazzo de' Costanzi, a sinistra vedesi un vico che va giù, detto della Comedia di San Bartolomeo, per la chiesa che vi sta a questo santo apostolo dedicata. Per lo vico dirimpetto a questo, detto de' Greci, si va in un altro teatro per comedie detto di San Giovanni de' Fiorentini, per esser vicino alla chiesa di questo titolo [tondo mio].24

[11] Confrontando la descrizione di questa strada in Celano con la sua raffigurazione nella pianta di Baratta è stato possibile identificare retrospettivamente in Stinemolen le occorrenze menzionate nel testo e assegnare loro le denominazioni correnti all'epoca dell'esecuzione del disegno. Come in una vera passeggiata, l'osservatore della veduta all'Albertina, dopo aver percorso con lo sguardo gli edifici notevoli della via, s'imbatte nella vista del fianco settentrionale di Castel Nuovo, proprio come se vi giungesse a piedi dalla Strada Rivera o da uno dei suoi vicoli a est. Dal punto di vista topografico però questo lato del castello sarebbe visibile solo ponendosi a nord (dunque da Capodimonte), mentre l'allineamento degli edifici sulla Strada Rivera denuncia una ripresa da ovest (dunque da San Martino). Deformazioni o inesattezze topografiche potrebbero quindi essere interpretate anche come scelte compositive che sollecitano modalità alternative di fruizione dell'immagine, proiettando continuamente l'osservatore dall'esterno all'interno della città.

10 Jan van Stinemolen, Panorama di Napoli, 1582, disegno, 462 × 1219 mm, Albertina, Vienna, inv. 15444, particolare con il porto e la Strada Rivera da applicazione web (immagine: © Albertina, Vienna; applicazione web: Bibliotheca Hertziana – MPI, Roma)

[12] L'esame del disegno alla luce delle fonti testuali consente di cogliere questa qualità della rappresentazione. Un altro esempio è fornito dall'illustrazione del sobborgo extramurano di Chiaia (fig. 11). L'area vi appare in via di urbanizzazione con la presenza di nuovi edifici religiosi (Santa Caterina, San Rocco, Santa Maria della Neve) oltre a quelli di fondazione medievale (Cappella Vecchia, Piedigrotta, Ascensione), insieme a ville nobiliari circondate da giardini e a piccole costruzioni per le case di pescatori e marinai. La raffigurazione trova riscontro nelle precise indicazioni fornite alcuni anni prima da de Stefano. La chiesa di Cappella Vecchia è rappresentata proprio come l'aveva delineata l'erudito cinquecentesco ("fuora la cità, quando si esce dala Porta del Castello [Porta di Chiaia] per andare alla piaggia, a man sinistra"),25 così come San Rocco ("una cappella posta nela strada a man sinistra quando si va nela spiaggia")26 e l'Ascensione ("sta ala strada dela spiaggia, proprio passato il palazzo dell'illustrissimo don Garsia di Toledo [duca di Ferrandina], a man destra").27 Anche in questo caso, la lettura comparata della fonte periegetica e della veduta non solo consente di identificare in quest'ultima le principali emergenze architettoniche del sobborgo, ma invita a muoversi idealmente nel suo spazio urbano e naturale.

11 Jan van Stinemolen, Panorama di Napoli, 1582, disegno, 462 × 1219 mm, Albertina, Vienna, inv. 15444, particolare con il borgo di Chiaia da applicazione web (immagine: © Albertina, Vienna; applicazione web: Bibliotheca Hertziana – MPI, Roma)

[13] Nel sottolineare le tangenze tra la veduta di Stinemolen e una descrizione di Napoli attribuibile a Bernardo Tasso (1544), Valter Pinto ha osservato che la scelta del disegnatore olandese di ritrarre la città "con il Golfo e i dintorni sullo sfondo provenga da un approccio culturale proprio della tradizione umanistica partenopea".28 Ad analoghe conclusioni conduce il confronto con la più tarda descrizione di Napoli di Giovanni Tarcagnota (1566).29 Anche quest'opera, immaginata come un dialogo fra tre nobili eruditi di fronte a una vista panoramica di Napoli dall'alto, si potrebbe leggere in parallelo alla veduta.30 L'osservazione dalla loggetta di una villa in collina consente infatti agli interlocutori di contemplare "la città tutta come le fossero stati sopra",31 e il loro spirito si rallegra potendo ammirare "in un medesimo tempo tanti et così grandi edificij […] et insieme tante amene colline, di tante et così vaghe et fiorite piante vestite, et il mare medesimamente così tranquillo" [corsivi miei].32 Tuttavia: "non minore giocondità si sente quando dentro la città istessa si veggono in particolare i bei palagi, le ornate chiese, i magnifici seggi, le fresche fontane et le strade da tanta cavalleria et da così honorato popolo frequentate" [corsivi miei].33 Si ripropone così nel dialogo la stessa tensione tra vista panoramica e osservazione dall'interno della città riscontrata nel disegno. Anche la quasi totale assenza di figure umane in Stinemolen sembra corrispondere alle qualità apprezzate nel testo in una veduta panoramica, dove mancano appunto "lo strepito et la confusione delle genti".34 Ma l'analogia con Tarcagnota si coglie in molte altre sfumature dell'opera, dalla forma della città "a guisa di un bel theatro",35 al dettaglio su porte urbiche, edifici, seggi, strade e interi settori urbani – si veda ad esempio la descrizione del porto36 con tutte le emergenze ritratte in Stinemolen (fig. 10).

[14] Il disegno dell'Albertina sembra dunque concepito come un dispositivo visivo, da leggere contestualmente alle descrizioni a stampa di Napoli in base all'esperienza e alle conoscenze dell'osservatore, consentendogli di esaminare la città da molteplici punti di vista senza rinunciare all'unitarietà dell'immagine. Il perfetto equilibrio tra generale e particolare, vista panoramica e dettaglio urbano, dall'esterno verso l'interno, governa la veduta urbana, che tiene insieme tutte le singole peculiarità della città, il Golfo, il Vesuvio, la costa frastagliata dei Campi Flegrei, l'osservazione delle e dalle colline, gli scorci panoramici e le passeggiate urbane, lo spazio costruito e quello naturale, riuscendo a catturare l'eccezionalità del sito, la sua antichità in piena osmosi con la sua vibrante modernità, in una veduta letteraria ed esperienziale, più che topografica, vero e proprio ritratto urbano, seppur all'apparenza impossibile.

Reviewers
Anonymous

Local Editor
Susanne Kubersky-Piredda, Bibliotheca Hertziana – Max Planck Institute for Art History, Rome

Special Issue
Tanja Michalsky and Adrian Bremenkamp, guest eds., Napoli dalle colline: città e campagna, cultura e natura nella veduta di Jan van Stinemolen (1582), in: RIHA Journal 0335-0341 (18 December 2025), DOI: https://doi.org/10.11588/riha.2025.3.

License
The text of this article is provided under the terms of the Creative Commons License CC-BY-NC-ND 4.0.

1 Cesare De Seta, Cartografia della città di Napoli. Lineamenti dell'evoluzione urbana, Napoli 1969, 123.

2 Cesare De Seta, "L'immagine di Napoli dalla Tavola Strozzi a E.G. Papworth", in: Giuliano Briganti, a cura di, All'ombra del Vesuvio. Napoli nella veduta europea dal Quattrocento all'Ottocento, cat. mostra, Napoli 1990, 27-44: 28-29.

3 De Seta (1990), 29.

4 Michele Furnari, "Urbis Neapolitanae Delineatio. Una lettura grafica dell'immagine della città", in: Giuliano Briganti, a cura di, All'ombra del Vesuvio. Napoli nella veduta europea dal Quattrocento all'Ottocento, cat. mostra, Napoli 1990, 45-56: 49.

5 Furnari (1990), 49.

6 Leonardo Di Mauro, "Jan van Stinemolen",in: Giuliano Briganti, a cura di, All'ombra del Vesuvio. Napoli nella veduta europea dal Quattrocento all'Ottocento, cat. mostra, Napoli 1990, 423.

7 De Seta (1969), 137-138.

8 Marco Iuliano, "Napoli a volo d'uccello. Un affresco per lo studio della topografia aragonese", in: Mélanges de l'École Française de Rome. Italie et Méditerranée 113, 1 (2001), 287-311: 299; Valter Pinto, "Rappresentazioni verbali e descrizioni visive. La Veduta di Napoli di Jan van Stinemolen e la Descrizione... di Bernardo Tasso", in: Enrico Iachello, a cura di, I saperi della città. Storia e città nell'età moderna, Palermo 2006 (= Storia e analisi del territorio, 2), 367-372: 367. Di diverso avviso Vladimiro Valerio, Piante e vedute di Napoli dal 1486 al 1599. L'origine dell'iconografia urbana europea, Napoli 1998 (= Imago urbis, 1), 70.

9 De Seta (1969), 138. Una cronologia anteriore al 1566 sembrerebbe contraddetta dalla presenza di edifici più tardi individuati dal progetto di annotazione, come la chiesa di Sant'Orsola, trasferita presso il palazzo Carafa di Stigliano dopo il 1569 (Cesare D'Engenio Caracciolo, Napoli sacra, Napoli 1623, 568; Carlo Celano, Notitie del bello, dell'antico e del curioso della città di Napoli, Napoli 1692, vol. 9, 6-7), Santa Maria della Neve, antica cappella trasformata in chiesa nel 1571 (Pietro de Stefano, Descrittione dei luoghi sacri della città di Napoli, Napoli 1560, 56v; Celano [1692], vol. 9, 43), forse persino Santa Maria Apparente, fondata nel 1581 (D'Engenio Caracciolo [1623], 573; Celano [1692], vol. 5, 114-115). Per tutti questi edifici nella veduta di Stinemolen si rimanda all'edizione digitale sul sito della Bibliotheca Hertziana – Istituto Max Planck per la storia dell'arte, Roma, DOI: https://doi.org/10.48431/maps.naples.stinemolen (ultimo accesso 16 ottobre 2025). L'assenza del nuovo arsenale, avviato nel 1577, potrebbe spiegarsi con il fatto che il suo completamento risale ai primi del XVII secolo (Ciro Birra, "Il cantiere per la costruzione del nuovo arsenale di Napoli", in: Maria Felicia Nicoletti e Paola Carla Verde, a cura di, Pratiche architettoniche a confronto nei cantieri italiani della seconda metà del Cinquecento, Milano 2019, 223-234), sebbene la sua raffigurazione sia già anticipata nell'aggiornamento della pianta Du Perac/Lafréry, curato nel 1579 da Mario Cartaro (Valerio [1998], 629). Si veda il contributo di Martin Raspe in questo volume, DOI: https://doi.org/10.11588/riha.2025.3.113742.

10 De Seta (1990), 28.

11 De Seta (1990), 29.

12 De Seta (1990), 29.

13 Valerio (1998), 70.

14 De Seta (1969), 123.

15 De Seta (1990), 29.

16 Un punto di osservazione privilegiato per l'inquadratura generale del disegno può forse riconoscersi nella parte alta dell'Arenella (odierno Rione Alto), dove, nonostante il caotico sviluppo edilizio degli anni Sessanta e Settanta del Novecento, è ancora possibile imbattersi in alcuni degli scorci catturati da Stinemolen, inclusa la visione dall'alto di Castel Sant'Elmo con l'intera zona di Chiaia fino ai Campi Flegrei, oggi percepibile dai piani alti degli edifici moderni. Nella seconda metà del Cinquecento in questo luogo sorgevano ville rustiche appartenenti all'aristocrazia cittadina, compresa quella di Giovan Battista Della Porta, dove si riuniva la celebre Accademia dei Segreti, da lui fondata nel 1560 (Anna Giannetti, "Le Villae di Giovan Battista Della Porta e la tradizione della villa napoletana", in: Marco Santoro, a cura di, La 'mirabile' natura: magia e scienza in Giovan Battista Della Porta 1615–2015, Pisa, ecc. 2016, 287-295). La cultura scientifica e le ricerche in campo ottico sottese al disegno di Stinemolen potrebbero trovare un parallelo negli interessi dell'accademia napoletana, chiusa dall'Inquisizione nel 1579, e del suo fondatore (da ultimo: Donato Verardi, La scienza e i segreti della natura a Napoli nel Rinascimento: la magia naturale di Giovan Battista Della Porta, Firenze 2018).

17 Si vedano i contributi di Antonino Tranchina e Martin Raspe in questo volume, DOI: https://doi.org/10.11588/riha.2025.3.113741 e DOI: https://doi.org/10.11588/riha.2025.3.113742.

18 Si veda il contributo di Grit Heidemann-Schirmer in questo volume, DOI: https://doi.org/10.11588/riha.2025.3.113738.

19 Con l'insula del duomo risulta slittato sul decumano inferiore anche il Seggio di Capuana.

20 Caroline Bruzelius, The Stones of Naples: Church Building in Angevin Italy 1266–1343, New Haven/Londra 2004, 87.

21 Michele Furnari, "I prototipi cinquecenteschi", in: Cesare De Seta, Napoli fra Rinascimento e Illuminismo, Napoli 1991, 60-77: 76.

22 De Stefano (1560), 34v.

23 Si veda il contributo di Antonino Tranchina in questo volume, DOI: https://doi.org/10.11588/riha.2025.3.113741.

24 Celano (1692), vol. 5, 20-26.

25 De Stefano (1560), 103r.

26 De Stefano (1560), 57v.

27 De Stefano (1560), 103r.

28 Pinto (2006), 372.

29 Giovanni Tarcagnota, Del sito, et lodi della città di Napoli [...], Napoli 1566.

30 Sul rapporto tra descrizioni letterarie di Napoli e cartografia: Tanja Michalsky, "Die Stadt im Buch. Die Konstruktion städtischer Ordnung am Beispiel frühneuzeitlicher Beschreibungen Neapels", in: Martina Stercken e Ute Schneider, a cura di, Urbanität. Formen der Inszenierung in Texten, Karten, Bildern, Gottinga 2016, 105-131, con particolare riferimento a Tarcagnota (124-126); anche in traduzione italiana: Tanja Michalsky, "La città nel libro: la costruzione dell'ordine urbano nelle descrizioni di Napoli della prima età moderna", in: Tanja Michalsky, Napoli in scala. Le rappresentazioni della città (XIV–XXI secolo). Saggi scelti su pratiche e media, a cura di Adrian Bremenkamp, Anna Magnago Lampugnani e Elisabetta Scirocco, Milano 2024, 59-79.

31 Tarcagnota (1566), 2v.

32 Tarcagnota (1566), 2v-3r.

33 Tarcagnota (1566), 3r.

34 Tarcagnota (1566), 3r.

35 Tarcagnota (1566), 3r.

36 Tarcagnota (1566), 10r.