RIHA Journal 0230 | 1 October 2019
Sull'origine francese di Giulio Cartarè (1642–1699)
Documenti e precisazioni in merito al nucleo familiare dell'ultimo allievo di Gian Lorenzo Bernini
Abstract
The essay retraces the biographical events of the sculptor
Giulio Cartarè, last pupil of Gian Lorenzo Bernini. In addition to
tracking down the artist’s baptism act on March 27, 1642, thanks to several
unpublished archival resources it was possible to ascertain the French origin of
his family, present in Rome since 1610 with his grandfather Nicolas. Through the
examination of parish registers of St. Andrea delle Fratte, it was possible to
clarify the dynamics of first contacts between Giulio Cartarè and
Bernini’s workshop.
[1] Nel quindicesimo capitolo della Vita di Gian Lorenzo Bernini, dedicato al cantiere della Cathedra Petri e ai principali allievi e collaboratori, suo figlio Domenico ebbe a ricordare che
Due però possiam dire, essere stati antichi diletti del Bernino, e de' quali giusta ragion vuole, che se ne faccia particolarissima menzione,
subito dopo sottolineando il valore di
ambedue per i progressi, che l'uno fece nell'Architettura, l'altro nella Scultura, e per l'inalterabile ossequio, e filiale amore, che per lo spazio di trent'anni portò ciascun di essi al Cavaliere. L'uno fù il Cav. Mattia de Rossi, l'altro Giulio Cartarè ambedue Romani.1
Sin dalle più antiche fonti letterarie, dunque, appare manifesta la volontà di stabilire in termini storiografici una salda relazione tra il Bernini (1598–1680) e Giulio Cartarè (1642–1699) che, lungi dal circoscriversi ad un ambito strettamente professionale, investiva anche la sfera degli affetti personali.
[2] Come già per molti scultori attivi a Roma nel pieno Seicento, anche per Giulio Cartarè l'essere stato un allievo di stretta osservanza nella bottega di Gian Lorenzo Bernini fu dapprima determinante per il conseguimento di un rapido successo professionale, salvo poi, alla morte del maestro, contribuire con altrettanta incisività al repentino declino della sua carriera; allo stesso modo, sempre al Bernini e all'attenzione pressoché esclusiva riservatagli da larga parte della moderna storiografia si deve fare riferimento per comprendere il silenzio che tutt'oggi aleggia sulla figura del Cartarè nel dibattito critico.2 Eclissato nella quasi impenetrabile ombra gettata dal grande interprete del Barocco romano, infatti, solamente in anni molto recenti si è iniziato ad indagare con un certo rigore il profilo biografico e professionale di Giulio, senza tuttavia giungere a restituirne un quadro organico ed esaustivo; un eloquente riscontro di questo ritardo risiede nell'indecisione con cui ancora si procede nell'indicare il cognome dello scultore, oscillando tra il lemma francesizzante Cartarè offerto dalle fonti e la forma italianizzata Cartari comunemente adottata dalla critica.
[3] La presente nota documentaria intende colmare parte di queste lacune e, concentrandosi sulla ricostruzione biografica della parabola umana dell'artista, aspira a porsi come un primo traguardo nella definizione di uno studio a carattere monografico. Punto di partenza delle indagini sono state le meritorie ricerche pubblicate nel 2002 da Alfredo Marchionne Gunter che, sebbene talvolta parziali e prive di adeguati riferimenti archivistici, hanno portato a conoscenza della comunità scientifica importanti informazioni, prima fra tutte la registrazione della morte dello scultore, sopraggiunta dopo una breve malattia il 6 settembre 1699.3 Correttamente lo studioso traeva spunto dal testo del documento, ove si ricordava la figura di "Iulius Cartarè filius q[uonda]m Petri", per interrogarsi in merito alla provenienza geografica della famiglia dell'artista, avanzando l'ipotesi di una possibile origine francese; occorre infatti sottolineare che tutte le fonti manoscritte come pure quelle a stampa cono concordi nell'indicare in Cartarè il cognome dell'artista, la cui italianizzazione in Cartari sembrerebbe quindi essere null'altro che una formula ideata ex nihilo in ambito critico. Procedendo a ritroso dall'atto di morte recentemente acquisito, è stato possibile ricostruire con precisione quasi puntuale la storia familiare dello scultore e dare finalmente una risposta affermativa alla sua origine transalpina.
[4] Le vicende in questione principiano infatti con la figura del francese Nicolas Cartarè, figlio di tale François, registrato negli anni compresi tra il 1610 e il 1620 in un caseggiato di proprietà di Agostino Roncione, ubicato all'interno della "Isola grande delli Gabrieli" che sorgeva alle falde del colle Pinciano, al di sotto del complesso della SS. Trinità dei Monti, lungo la direttrice viaria che incrociava strada Gregoriana.4 Sposato con Caterina Capotosti, figlia di Antonio e originaria di Capranica, Nicolas ebbe sei figli: oltre ai gemelli Cecilia e Pietro, quest'ultimo futuro padre dello scultore Giulio,5 dall'unione nacquero il primogenito Francesco, poi Antonio,6 Margherita7 e Giovanni Battista. L'economia domestica si sosteneva col lavoro del capofamiglia che, in accordo a quanto indicato negli Stati delle Anime della parrocchia di Sant'Andrea delle Fratte, svolgeva l'attività di cuoco ed "herbarolo" a servizio del cardinale Ippolito Aldobrandini; sebbene i proventi derivatine dovettero consentire ai Cartarè una certa agiatezza, accentuata dallo stretto legame col potente porporato che fu padrino al battesimo dei figli Pietro e Cecilia, la morte ravvicinata di entrambi i coniugi, deceduti rispettivamente il 20 e il 27 aprile 1621,8 dovette incidere non poco sulla sorte dei loro figli, destinati ad abbandonare la casa paterna e ad intraprendere ciascuno la propria strada, facendosi largo nella complessa e competitiva realtà romana della prima metà del Seicento.
[5] In termini professionali, i maggiori riscontri spettarono proprio a Pietro Cartarè, padre di Giulio. Nonostante la lacunosità del fondo archivistico di Sant'Andrea delle Fratte,9 che sino al 1655 rimase la parrocchia di pertinenza del suo nucleo familiare, è possibile attestare che questi e i suoi congiunti rimasero gravitanti nella stessa area urbana nella quale Pietro era nato e aveva vissuto la sua giovinezza. Dapprima residente nella "Isola del Convento di S[an]to Andrea delle Fratte",10 poi in un caseggiato poco distante sito in strada Paolina, all'angolo tra "Due Macelli" e la "Sallita di San Gioseppe" a Capo le Case,11 Pietro Cartarè crebbe professionalmente sino a ricoprire il ruolo di "Ser[vito]re di N[ostro] S[ignore]" Innocenzo X Pamphilj, di cui fu palafreniere, per poi dedicarsi al commercio di filati e tessuti, in ragione di cui il 22 marzo 1663 aveva preso in affitto dai coniugi Dionora Mascaroni e Andrea Corbelli un locale onde adibirlo a bottega in cambio di una pigione pari a 24 scudi annui.12 La raggiunta stabilizzazione lavorativa e la conquista di un certo benessere economico permisero a Pietro Cartarè di far fronte alle necessità di una prole che giunse a contare dieci figli, nati dall'unione con la pesarese Camilla Patanti, figlia di Domenico; dopo la primogenita Maria Caterina, nata il 15 ottobre 1635 e battezzata il seguente giorno 20,13 nacquero Michelangelo,14 Plautilla,15 Margherita,16 Francesco,17 Pietro,18 Maddalena,19 Antonia20 e Apollonia21.
[6] Quartogenito di Pietro e Camilla fu il nostro scultore, nato il 27 febbraio 1642 e battezzato presso il fonte della basilica di S. Marcello al Corso il seguente 6 marzo con il nome di Giulio Vittorio;22 i genitori scelsero come padrino il romano Vittorio Gailetti, cui si dovette il secondo nome assegnato all'infante, secondo una prassi assai diffusa che contraddistinse anche l'attribuzione dei nomi dei fratelli Francesco Angelo, Pietro Placido e Maddalena Ortensia. Proprio l'identità di alcune delle personalità coinvolte da Pietro Cartarè nel battesimo dei suoi figli offre ulteriori spunti che, seppur ancora da vagliare con il giusto rigore, consentono già di avanzare alcune suggestioni in relazione all'attività professionale del figlio Giulio; è il caso, su tutti, dei portoghesi Francisco de Azevedo da Caminha e frate Placido "ex Cravè Monachus S[ancti] Benedicti Portugalen[sis]", rispettivamente padrini di Antonia e Apollonia Cartarè. Ciò potrebbe implicare l'esistenza di un consolidato legame tra la famiglia Cartarè e quell'articolata compagine lusitana dimorante in questa area della città, cui appartenne anche il cavaliere Rodrigo Lopes da Silva, nella cui cappella gentilizia in Sant'Isidoro si trovò probabilmente ad operare intorno al 1663 il poco più che ventenne Giulio, allora giovane collaboratore di Gian Lorenzo Bernini.23
[7] La considerevole vicinanza topografica che univa la casa dei Cartarè al palazzo all'angolo tra via della Mercede e via di Propaganda Fide, dove visse ed operò il Bernini,24 dovette concorrere in una certa misura all'ingresso di Giulio nell’entourage di Gian Lorenzo e, soprattutto, all'assiduità con cui ne frequentò l'industriosa bottega. Se infatti a suscitare da subito l'attenzione del più anziano maestro fu l'indubbio talento del giovane, il determinarsi di quel rapporto quasi paterno ricordato dalle fonti fu senz'altro l'esito dalla pressoché quotidiana presenza dell'allievo nella sua abitazione. Divenuto rapidamente un nome ricorrente all'interno dei cantieri berniniani, il Cartarè prese parte alla realizzazione del Monumento funebre di Alessandro VII Chigi in S. Pietro in Vaticano,25 scolpì l'Angelo con il Titolo della Croce destinato a Ponte Sant'Angelo26 e, soprattutto, fu coinvolto nel seguito che accompagnò il Bernini alla corte di Luigi XIV di Francia nell'estate del 1665, affiancando il figlio dell'artista Paolo Valentino e il suo fidato collaboratore nel campo dell'architettura Mattia de’ Rossi.27 Alla luce delle scoperte documentarie appena presentate non è tuttavia possibile escludere che, al di là della stretta affezione tra maestro e allievo, ad incidere sulla decisione di condurre a Parigi il Cartarè possa aver influito proprio la sua origine francese; a questa stessa ragione, del resto, potrebbe rispondere la scelta di affidargli la formazione delle giovani leve dell'Académie de France à Rome, incarico per il quale Giulio ricevette cospicui compensi tra il 19 maggio 1672 e il 2 luglio 1674.28
[8] Protetto e agevolato dal suo potente mallevadore, noto e apprezzato dai maggiori committenti del tempo, il Cartarè sarebbe giunto in breve tempo ad una vera consacrazione professionale se la sua carriera non avesse subito i contraccolpi dovuti alla morte di Gian Lorenzo nel 1680 e all'instaurarsi di un generale sentimento di riflusso antiberniniano, determinatosi nell'ambiente romano dopo decenni di predominio esercitato dal grande interprete barocco. Sebbene impegnato in lavori di restauro sui marmi antichi di proprietà della regina Cristina di Svezia29 e coinvolto come protagonista all'interno del cantiere decorativo della cappella Poli in S. Crisogono, ideato e principiato dallo stesso Bernini prima di morire,30 a partire dallo scadere del nono decennio del secolo le prospettive lavorative dello scultore iniziarono a ridursi, come pure il numero delle sue commissioni. Allo stato attuale delle conoscenze, infatti, con l'eccezione nel 1689 di alcuni lavori di restauro integrativo su statue e bassorilievi per conto del Gran Contestabile Filippo II Colonna,31 l'attività del Cartarè sembra circoscriversi al solo ambito della ritrattistica funeraria, testimoniata dalla pur pregevole fattura dei busti della principessa d'Altomare Flavia Bonelli nella chiesa agostiniana di Gesù e Maria al Corso (1691) e di Isabel Cardosa Fonseca nella cappella gentilizia in S. Lorenzo in Lucina (1693).32
[9] Gli effetti di questo declino professionale non dovettero mancare di riverberarsi anche sulle sorti dei congiunti dello scultore, che continuarono ad avere come teatro la casa presso la "Salita di S[an] Giuseppe". Qui infatti seguitò a risiedere la famiglia Cartarè alla morte del capostipite Pietro, intercorsa il 24 febbraio 1688,33 dapprima trovando una guida nella vedova Camilla, poi nel primogenito maschio Michelangelo, attivo nel campo del commercio e della lavorazione del ferro;34 fatti salvi quanti intrapresero la vita religiosa, come nel caso di Pietro Placido che vestì l'abito da agostiniano scalzo col nome di Enrico di Sant'Alessio, gli altri figli rimasero infatti nell'abitazione paterna, dove nel 1680 rientrò con la sua prole anche Plautilla, rimasta frattanto vedova di Francesco Venerati.35 Lo svolgersi delle vicende biografiche dei Cartarè allo scadere del secolo è in parte già noto: morto Giulio il 6 settembre 1699, le sue proprietà – ivi compresi i suoi strumenti di lavoro e i suoi modelli, tra i quali non pochi bozzetti e disegni di mano del Bernini – passarono in possesso del fratello maggiore Michelangelo che, stilato il proprio testamento il 25 giugno 1714, si spense il successivo il 7 luglio.36 Tutti i beni della famiglia andarono quindi alla sorella Plautilla, cui spettò l'onore di redigere l'"Inventarium bonorum hae[redita]riorum q[uonda]m Michelangeli Cartarè".37 Sebbene la stima di gran parte delle sculture in marmo e in terracotta sia stata già portata all'attenzione della critica, manca di essere sottilineato che l'atto notarile venne stilato in previsione di una possibile vendita, mediante la quale l'ultima erede avrebbe forse cercato di sanare una condizione finanziaria in parte compromessa dai debiti.
[10] La lacunosità delle informazioni riguardante gli ultimi eredi di Giulio, con particolare riferimento proprio alla sorella Plautilla, di cui risulta perduto il testamento rogato il 12 novembre 1717, non permette di avvalorare l'effettivo insorgere di queste incertezze economiche che, qualora confermate, attesterebbero per Giulio Cartarè e i suoi congiunti un epilogo assai simile a quello riservato ad altri colleghi suoi pari quali Leonardo Retti o Francesco Nuvolone. Al di là della maggiore o minore correttezza di questa ipotesi, resta l'evidenza di una carriera che si chiuse in sordina; orfano del proprio maestro in un'epoca priva di solidi punti di riferimento e incapace di farsi interprete di un gusto che andava progressivamente mutando, come molti altri scultori e stuccatori di fine Seicento anche Giulio Cartarè finì col lasciare campo libero al prepotente emergere di agguerriti artisti appartenenti a nuove e più giovani generazioni, concludendo la sua parabola umana e professionale in un clima di sostanziale declino.
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Susanne Kubersky-Piredda, Bibliotheca Hertziana, Rome
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1 Domenico Bernini, Vita del Cavalier Gio. Lorenzo Bernino, Roma 1713, 113.
2 Fatte salve le brevi voci biografiche redatte da Francesco Negri Arnoldi ("Cartari Giulio", in: Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 20, Roma 1977, 791-792), Susanna Zanuso ("Giulio Cartari", in: Scultura del ‘600 a Roma, ed. Andrea Bacchi, Milano 1996, 793-794) e Susanne Günther-Schorn ("Cartari Giulio", in: Allgemeines Künstler-Lexikon. Die Bildenden Künstler aller Zeiten und Völker (AKL), vol. 16, Monaco di Baviera e Leipzig 1997, 632), tra i pochi studi dedicati al Cartarè si ricordano Alfredo Marchionne Gunter, "Giovan Lorenzo Bernini e Giulio Cartarè", in: Berniniana. Novità sul regista del Barocco, ed. Maurizio Fagiolo Dell'Arco, Milano 2002 (Biblioteca d'Arte Skira, 7), 218-227; Jacopo Curzietti, "'Con disegno del Cavalier Bernino'. Giulio Cartari e la decorazione della cappella Poli in S. Crisogono a Roma", in: Storia dell'Arte 120 (2008), 41-58.
3 Marchionne Gunter, "Gian Lorenzo Bernini e Giulio Cartarè", 220-221, documento 3, trascrive l'atto di morte conservato nei registri di Sant'Andrea delle Fratte, ove lo scultore fu sepolto. Cfr. Archivio del Vicariato di Roma (ASVR), S. Andrea delle Fratte, Morti, 1685–1715, cc. 66r-v. Analoga redazione del documento è anche nel fondo archivistico di S. Nicola in Arcione, chiesa di cui il nucleo familiare dell'artista era parrocchiana. Cfr. ASVR, S. Nicola in Arcione, Morti, 1691–1713, c. 70v: "Die 6 Septembris 1799. D[ominus] Iulius Cartare filius q[uonda]m Petri Romanus annorum quinquaginta septem cir[cite]r degens infirmus in quadam Domo posita ut ducit nella salita di S[an] Giuseppe in Com[m]unione S[anctae] M[atris] Ecclesiae et mortis agone animam Su[mm]o Deo reddidit, cuius cadaver die sequenti illatum fuit ad Ecclesiam S[ancti] Andreae de Fractis et in eadem humatum S[anctissim]is Ecclesiae Sacramentis omnibus fuit munitus."
4 Cfr. ASVR, S. Andrea delle Fratte, Stati delle Anime, 1607–1613, cc. 104r (1610), 220v (1611), 220r (1612), 270v (1613); 1617–1622, cc. 2r (1617), 31r (1618), 65r (1619), 103v (1620).
5 L'atto di battesimo dei gemelli, nati il 16 aprile 1612, è conservato in ASVR, S. Marcello, Battesimi, 1608–1612, c. 117v: "Aprile 1612. Adi 23. furno bat[tezzat]i da me frà Gio[vanni] Batt[ist]a [della Pieve] soprad[dett]o Pietro, et Cecilia nati alli 16. Di P[ad]re Niccolò franzese, et di Catarina Capotosto da Capranica sua moglie, il comp[ar]e l'Ill[ustrissi]mo S[igno]r Car[dina]le Aldobrandino, et in suo luogo il S[igno]r D[on] Franc[esc]o Poli da Bologna, la Com[mar]e et Mam[man]a Camilla Servante. Parr[occhi]a S[ant]o Andrea delle Fratte."
6 Antonio Cartarè nacque il 15 ottobre 1609 e fu battezzato il seguente giorno 19. Cfr. ASVR, S. Marcello, Battesimi, 1608–1612, c. 47v.
7 Nata il 30 gennaio 1615, Margherita Cartarè fu battezzata il successivo 3 febbraio. Cfr. ASVR, S. Marcello, Battesimi, 1612–1619, c. 65r.
8 Cfr. ASVR, S. Andrea delle Fratte, Morti, 1588–1646, cc. 40r ("Adi 20. detto [Aprile 1621] Chaterina moglie di Nicolò Cartare franzese c[u]oco morse con tutti li S[antissi]mi Sacrame[n]ti in casa delli Roncioni fù sepelita nella n[ost]ra chiesa") e 40v: "Adi 27. detto [Aprile 1621] Nicolo Cartare coco si morse in casa di Agostino Roncione con tutti li S[antissim]i Sacrame[n]ti fù sepelito nella n[ost]ra chiesa qual'era marito della q[uondam] Caterina come si sopra retroscritta."
9 Per quanto attiene alla documentazione risalente alla prima metà del XVII secolo, nel fondo archivistico degli Stati delle Anime di Sant'Andrea delle Fratte risultano perdute le registrazioni degli anni 1602–1606, 1614–1616 e 1635–1642.
10 ASVR, S. Andrea delle Fratte, Stati delle Anime, 1643–1644, cc. 26v (1643), 70r (1644); 1645–1648, cc. 23v (1645), 69v (1646), 121r (1647), 172r (1648); 1649, c. 22r; 1650, c. 43; 1651, c. 27v; 1652, c. 24v; 1653, c. 26v; 1654, c. 24v; 1655, c. 24r.
11 ASVR, S. Nicola in Arcione, Stati delle Anime, 1654–1659, fasc. 2, c. 19r (1656), fasc. 3, c. 24v (1657); 1660–1661, fasc. 1, cc. 11v-12r (1660), fasc. 2, c. 14v (1661), fasc. 3, c. 33r (1662), fasc. 4, c. 32r (1663), fasc. 5, c. 13v (1664), fasc. 6, c. 14v (1665), fasc. 7, c. 12r (1666); 1667–1679, fasc. 1, c. 12v (1667), fasc. 2, c. 13r (1668), fasc. 3, c. 12v (1669), fasc. 4, c. 13v (1670), fasc. 5, c. 11r (1671), fasc. 6, c. 10v (1672), fasc. 7, c. 9v (1673), fasc. 8, c. 9v (1674), fasc. 9, c. 9v (1675), fasc. 10, c. 19 (1676), fasc. 11, c. 19 (1677), fasc. 12, c. 9v (1678), fasc. 13, c. 9v (1679); 1680–1690, fasc. 1, c. 9r (1680), fasc. 2, c. 14r (1681), fasc. 3, c. 14r (1682), fasc. 4, c. 13v (1683), fasc. 5, c. 12v (1684), fasc. 6, cc. 25-26 (1685), fasc. 7, c. 23 (1686), fasc. 8, c. 22 (1687), fasc. 9, c. 23 (1688).
12 Per la "Locatio Apothecae", descritta come un locale "cum stantia retro, et stantiunculo superius" sito "in Via Paulina", si veda Archivio di Stato di Roma (ASR), 30 Notai Capitolini, uff. 9, Joannes Franciscus Abinantes, vol. 395, cc. 262r-v, 267r-v.
13 ASVR, S. Marcello, Battesimi, 1634–1637, c. 59r.
14 Nato il 29 settembre 1637, Michelangelo Giovanni Battista Cartarè fu battezzato il successivo 3 ottobre. Cfr. ASVR, S. Marcello, Battesimi, 1634–1637, c. 155r.
15 Plautilla Giovanna Cartarè, nata il 2 novembre 1639, fu battezzata il seguente giorno 7. Cfr. ASVR, S. Marcello, Battesimi, 1638–1644, c. 50r.
16 Battezzata il 22 settembre 1643, Margherita Colomba Cartarè era nata il precedente giovedì 17. Cfr. ASVR, S. Marcello, Battesimi, 1638–1644, c. 175r.
17 Nato il 12 novembre 1646, Francesco Angelo Cartarè fu battezzato il successivo giorno 19. Cfr. ASVR, S. Marcello, Battesimi, 1644–1647, c. 141v.
18 Pietro Placido Cartarè, nato il 25 settembre 1645, fu battezzato il 4 ottobre seguente. Cfr. ASVR, S. Marcello, Battesimi, 1644–1647, c. 87r.
19 Battezzata il 16 novembre 1648, Maddalena Ortensia Cartarè era nata il precedente giorno 9. Cfr. ASVR, S. Marcello, Battesimi, 1647–1650, c. 49v.
20 Nata il 15 giugno 1651, Antonia Cartarè fu battezzata il giorno 19. Cfr. ASVR, S. Marcello, Battesimi, 1650–1654, c. 23v.
21 Apollonia Flavia Francesca Cartarè, nata il 18 ottobre 1653, fu battezzata il seguente giorno 23. Cfr. ASVR, S. Marcello, Battesimi, 1650–1654, c. 97r.
22 ASVR, S. Marcello, Battesimi, 1638–1644, c. 126v: "Adi 6 [Marzo 1642] fu battezzato da me detto [fra' Niculo Sanesi d'Arezzo Curato], Giulio Vittorio, nato alli 27 il Giovedì, à nove e mezzo di notte, di Padre Pietro di Niccolo Cartarè Romano, Madre Camilla di Domenico Patante da Pesaro, sua moglie, Compare il Sig[no]r Vittorio Gailetti Romano, Comare la Sig[no]ra Madalena Foschetti Barona, Mamana Emilia. Par[rocchi]a di S[an]to Andrea delle Fratte."
23 Stando a quanto indicato da Filippo Titi (Studio di pittura, scoltura, et architettura, nella Chiese di Roma, Roma 1674, 370), "li depositi da i lati li scolpì con diligenza un figlio del Cav. Bernino". L'attribuzione di alcune di queste sculture a Giulio Cartarè in luogo dell'allora appena quindicenne Paolo Valentino, unico tra i figli di Gian Lorenzo ad aver intrapreso la carriera paterna, si deve a Rudolf Wittkower, Gian Lorenzo Bernini. The Sculptor of the Roman Baroque, London 1955, 228. Benchè priva di riscontri documentari, l'ipotesi è stata generalmente accolta con favore dalla critica. Cfr. Negri Arnoldi, "Cartari Giulio", 791; Francesco Quinterio, "Catalogo delle opere di architettura", in: Bernini architetto, ed. Franco Borsi, Milano 1980, 289-346: 332; Günter-Schorn, "Cartari Giulio"; Angela Negro, Bernini e il "bel composto". La cappella de Sylva in Sant'Isidoro, Roma 2002, 24-28; Curzietti, "Con disegno del Cavalier Bernino", 41-42.
24 Sull'abitazione di Gian Lorenzo Bernini si rimanda all'ancora fondamentale studio di Franco Borsi, Cristina Acidini Luchinat e Francesco Quinterio, ed., Gian Lorenzo Bernini. Il testamento, la casa, la raccolta di beni, Firenze 1981 (Biblioteca di architettura. Saggi e documenti, 27). Più di recente si consideri anche Rosella Carloni, Palazzo Bernini al Corso. Dai Manfroni ai Bernini, storia del palazzo dal XVI al XX secolo e della raccolta di Gian Lorenzo Bernini, Roma 2013. Per lo spoglio degli Stati delle Anime riguardante il nucleo familiare dell'artista si veda Laura Bartoni, Le vie degli artisti. Residenze e botteghe nella Roma barocca dai registri di Sant'Andrea delle Fratte (1650–1699), Roma 2012, 102-114.
25 Stando alla documentazione rintracciata da Vincenzo Golzio, tra l'aprile 1675 e il novembre 1677 Giulio Cartarè ricevette compensi per l'esecuzione della scultura raffigurante la Giustizia e per ultimare quelle ritraenti la Verità e la Prudenza, già sbozzate da Lazzaro Morelli e Giuseppe Baratta; ulteriori retribuzioni ne attestano inoltre l'attività nel perfezionamento dei panneggi sulla statua del pontefice, la cui fattura era stata precedentemente affidata a Michel Maille; Vincenzo Golzio, Documenti artistici sul Seicento nell'Archivio Chigi, Roma 1939, 128-138.
26 Replica della scultura realizzata dal Bernini, nel 1729 donata dal nipote Prospero ai padri di Sant'Andrea delle Fratte, dinanzi al cui presbiterio tuttora si conserva. Come attesta la documentazione edita da Mark S. Weil, la statua del Cartarè fu posizionata su Ponte Sant'Angelo il 28 ottobre 1671 e saldata allo scultore il successivo 12 novembre; Mark S. Weil, ed., The History and Decoration of the Ponte S. Angelo, University Park and London 1974, 80-81 e 129.
27 Stante la copiosa messe di studi e riflessioni critiche, sul soggiorno parigino del Bernini si rimanda per brevità all'articolato lavoro di Daniela Del Pesco, Bernini in Francia. Paul de Chantelou e il Journal de voyage du Cavalier Bernini en France, Napoli 2007, con ampio apparato bibliografico di riferimento.
28 Cfr. Jacopo Curzietti, "Gian Lorenzo Bernini e l'Académie de France à Rome. Una nota documentaria sul ruolo di Giulio Cartarè", in: Valori Tattili 10-11 (2017–2018), 45-49.
29 Come segnalato da Tomaso Montanari, l'attività del Cartarè per Cristina di Svezia si protrasse dal 1680 al 1689, Tomaso Montanari, "Bernini e Cristina di Svezia. Alle origini della storiografia berniniana", in: Gian Lorenzo Bernini e i Chigi tra Roma e Siena, ed. Alessandro Angelini, Cinisello Balsamo 1998, 328-477: 451. Oltre al restauro integrativo della collezione di marmi antichi della sovrana, oggi conservati al Museo del Prado di Madrid, a Giulio si deve anche la fattura del busto ritratto della regina, oggi custodito presso il Palacio Real de la Granja de San Ildefonso. Sulla collezione scultorea di Cristina di Svezia si veda anche il recente studio di Anne-Lise Desmas e Francesco Freddolini, "Sculpture in the Palace: Narratives of Comparison, Legacy, and Unity", in: Display of Art in the Roman Palace 1550–1750, ed. Gail Feigenbaum e Francesco Freddolini, Los Angeles 2014, 267-282: 268-272.
30 Per il cantiere si rimanda a Curzietti, "Con disegno del Cavalier Bernino". Più di recente si vedano anche Giovanna Sapori, "Profilo di Fausto Poli 'sovrintendente alle arti' nella casa Barberini", in: Rivista dell'Istituto Nazionale d'Archeologia e Storia dell'Arte 29 (2011), 195-283: 197-201; Louise Rice, "Bernini and the Creative Process: The Presentation Drawings", in: Bernini disegnatore. Nuove prospettive di ricerca, ed. Sybille Ebert-Schifferer, Tod A. Marder e Sebastian Schütze, Roma 2017, 115-162: 135-140; ulteriori precisazioni sono inoltre in Jacopo Curzietti, "Antonio Raggi scultore ticinese nella Roma barocca", tesi di dottorato, Sapienza Università di Roma, febbraio 2018, Catalogo delle opere rifiutate 18.
31 Cfr. Maria Grazia Picozzi, ed., Palazzo Colonna. Appartamenti. Sculture antiche e dall'antico, Roma 2010, p. 377, doc. 14.
32 Per il primo busto si veda Nina A. Mallory, "Carlo Francesco Bizzaccheri (1655–1721), with an annotated catalogue by John L. Varriano", in: Journal of the Society of Architectural Historians 33 (1974), 27-47: 35-37 e 45 nota 9. Per il secondo si rimanda ai pagamenti pubblicati in Alfredo Marchionne Gunter, "Documenti e nuove attribuzioni di opere in chiese romane tra Sei e Settecento", in: Studi Romani 51 (2003), 339-359: 354, doc. 13, e alle valutazioni critiche avanzate in Curzietti, "Antonio Raggi", Catalogo 27.
33 Il documento si conserva in doppia versione in ASVR, S. Nicola in Arcione, Morti, 1677–1691, c. 105r e ASVR, S. Andrea delle Fratte, Morti, 1685–1715, c. 10v.
34 Per le registrazioni parrocchiali dei Cartarè a seguito della morte del capofamiglia Pietro si veda ASVR, S. Nicola in Arcione, Stati delle Anime, 1680–1690, fasc. 10, c. 13r (1689); 1690–1704, fasc. 1, c. 13v (1690), fasc. 2, cc. 28-29 (1691), fasc. 3, c. 29 (1692), fasc. 4, cc. 30-31 (1693), fasc. 5, c. 36 (1694), fasc. 6, c. 35 (1695), fasc. 7, c. 17v (1696), fasc. 8, c. 37 (1697), fasc. 9, carta non numerata (1698), fasc. 10, carta non numerata (1699), fasc. 11, carta non numerata (1700), fasc. 12, carta non numerata (1701), fasc. 13, carta non numerata (1702), fasc. 14, carta non numerata (1703), fasc. 15, carta non numerata (1704); 1705–1706, cc. 13r-v (1705), 56r (1706); 1709–1710, cc. 13v (1709), 54v (1710); 1711–1712, c. 27 (1711).
35 Plautilla Giovanna Cartarè aveva sposato Francesco Venerati il 29 maggio 1666 (ASVR, S. Nicola in Arcione, Matrimoni, 1663–1678, c. 25v). Viceversa non rientrarono nel nucleo familiare di provenienza né Maddalena Ortensia, unitasi in matrimonio con Mattia Anselini il 31 maggio 1673 (ASVR, S. Nicola in Arcione, Matrimoni, 1663–1678, c. 91r), né Margherita Colomba, sposa di Giustiniano Zelli il 23 gennaio 1681 (ASVR, S. Nicola in Arcione, Matrimoni, 1678–1690, c. 23r).
36 Segnalata da Marchionne Gunter, "Gian Lorenzo Bernini", 219, senza alcun riferimento archivistico, la morte di Michelangelo Cartarè è registrata in ASVR, S. Nicola in Arcione, Morti, 1713–1715, c. 6r. Al successivo giorno 8 luglio è viceversa datato l'analogo documento in ASVR, S. Andrea delle Fratte, Morti, 1685–1715, c. 133r. Per il testamento si veda ASR, 30 Notai Capitolini, uff. 7, Lucius Antonius Neri, Testamenti e Donazioni, vol. 692, cc. 460r-461v, 482r-v.
37 Parzialmente trascritto da Marchionne Gunter, "Gian Lorenzo Bernini", 221-227, il documento è conservato in ASR, 30 Notai Capitolini, uff. 7, Lucius Antonius Neri, vol. 287, cc. 43r-58r, 59r-v, 62r-76v. Alle carte 28r-29r, 30r-31r, 35r-v dello stesso volume è invece la "Aditio haereditatis q[uonda]m Michaelis Angeli Cartarè Pro D[omina] Plautilla Cartarè", stilata il 10 luglio 1714.