RIHA Journal 0240 | 30 March 2020

Il caso di Sant'Atanasio dei Greci a Roma tra universalismo riformato e liturgia greca

Camilla S. Fiore

Abstract
The essay traces the circumstances of the construction of S. Atanasio, the church of the Greeks in Rome, which was built at the behest of pope Gregory XIII Boncompagni by the architect Giacomo della Porta. Although founded with the intention of representing the universalist policies of Gregory XIII, S. Atanasio assumed its definitive identity often in contrast to the wishes of its cardinal protectors and of the pontiff himself. The singular architectural design and the interior decoration are reinterpreted here in light of new documents in which Greek-Byzantine liturgy and culture are essential reference points for the community that formed in the Greek college and for the solutions adopted in an attempt to reconcile the Greek and Latin rites.

La chiesa di S. Atanasio dei Greci: metodologia e ricerca

[1] La chiesa di S. Atanasio (fig. 1) fu edificata dall'architetto Giacomo della Porta (1532–1602) a partire dal 1581, per volontà del papa Gregorio XIII (1572–1585) che intendeva annetterla all'adiacente Collegio Greco (fig. 2). L'edificio si affaccia su via del Babbuino all'angolo con via dei Greci, in un'area che tra fine Cinque e inizio Seicento prendeva forma per i numerosi cantieri attivi tra Trinità dei Monti e piazza di Spagna.1

1 Chiesa di Sant’Atanasio, Roma, facciata, 1581–1583, architetto: Giacomo della Porta (© Bibliotheca Hertziana/ Marcello Leotta)

2 Giovanni Battista Falda, Veduta di Sant’Atanasio e del Collegio Greco, 1665 (da Giovanni Battista Falda, Il nuovo teatro delle fabriche, et edificii, in prospettiva di Roma moderna: sotto il felice pontificato di N. S. Papa Alessandro VII, 4 voll., Roma 1665–1669, vol. 3, tav. 19)

[2] Ad oggi gli studi hanno inquadrato la vicenda architettonica e decorativa di S. Atanasio nell'ambito della fondazione dei collegi orientali intrapresa da Gregorio XIII,2 risultato tangibile delle direttive emanate dal Concilio Tridentino.3 Al pari degli altri, anche il Collegio Greco infatti svolgeva primariamente una funzione evangelica e missionaria, con il fine di formare sacerdoti ed ecclesiastici destinati a tornare in patria e rieducare le popolazioni eretiche o scismatiche secondo i principi della dottrina cattolica romana. D'altro canto S. Atanasio costituisce un caso sui generis innanzitutto per il particolare momento storico in cui Gregorio XIII istituiva il collegio, a pochi anni dalla battaglia di Lepanto (1571) e sotto la minaccia turca sempre più pressante nell'area mediterranea ed in particolare nelle isole greche.4 A differenza degli altri infatti, l'istituto greco ospitava una numerosa e variegata comunità proveniente da diverse aree del sud Europa: dalle colonie in Calabria, in Sicilia, in Puglia, dalla Grecia e anche dalla attuale Ucraina (è il caso dei ruteni). Il collegio quindi ricopriva una duplice funzione, educativa e al contempo assistenziale per gli ecclesiastici o aspiranti tali in fuga dalla patria invasa. Sebbene non fondato per volontà di una comunità già stanziata nell'Urbe, il collegio diventò comunque luogo di aggregazione, all'interno del quale la comunità greca stessa si formava e diventava nel corso degli anni portavoce di una specifica identità, non sempre in sintonia con l'operato pontificio, contro cui, come vedremo in alcuni casi, volge aspre critiche.

[3] La spinta riformatrice che nella seconda metà del Cinquecento auspicava una attenta revisione nelle chiese di decorazioni e arredi liturgici in base alle predisposizioni conciliari, è stata in più occasioni trattata dagli studi in relazione alle fonti, alla committenza e infine dal punto di vista stilistico con la formazione di un linguaggio artistico universale in grado di comunicare all'intera Europa. Nel caso del Collegio dei Greci tuttavia questa spinta si incontra con la precisa volontà di diffondere la dottrina dei Padri della chiesa, in particolare quelli greci, con esiti originali e senza precedenti.

[4] Il presente contributo, risultato di una ricerca più ampia,5 prende in esame due momenti significativi della vita del collegio; il primo connotato dalla rielaborazione e interpretazione della cultura e della liturgia greca da parte di Gregorio XIII e dal suo entourage, determinante per le scelte decorative e architettoniche che ancora oggi caratterizzano la chiesa. Il secondo invece testimonia come questo 'modello' venisse recepito dalla comunità ospitata dal collegio e consente dunque di definire seppure in linea generale, quali criteri dovesse rispettare una chiesa greca tra fine Cinque e inizio Seicento. Un elemento peraltro che aiuta a fare luce su una comunità, ancora poco nota, che si differenzia dalle altre straniere, in quanto frutto di una attenta selezione, costituita prevalentemente da giovani colti e istruiti destinati a divenire portavoce di una precisa identità.

[5] Per poter ricostruire una così complessa dinamica in primo luogo quindi occorre definire il contesto storico e politico in cui avviene la fondazione del collegio, in particolare negli anni del pontificato di Gregorio XIII tra il 1572 e il 1585. In secondo luogo si intende dimostrare come le vicende costruttive e decorative di S. Atanasio dalla sua edificazione nel 1580 risultino emblematiche di questo contesto. Infine vedremo attraverso alcune testimonianze inedite la dura reazione dei greci rispetto al modello pontificio, in particolare riguardo all'impianto architettonico e liturgico, nonché alla decorazione interna.

Il Collegio Greco nella politica di Gregorio XIII

[6] Gregorio XIII nutrì un particolare interesse per l'istituzione delle chiese nazionali, oggetto di una mirata politica accentratrice.6 Parte del suo pontificato infatti fu imperniato sulla fondazione dei collegi nazionali, con particolare attenzione nei confronti di quelli orientali.

[7] Quando Ugo Boncompagni (1502–1585) fu eletto al soglio pontificio nel 1572, la terza sessione del Concilio di Trento si era chiusa da ormai un decennio. Un punto fondamentale del programma pontificio dunque consisteva nel dare seguito ai dettami conciliari attraverso un programma che aveva nell'Urbe il suo centro promotore, mirato ad estirpare le eresie in Europa e in Oriente. Il panorama era reso ancora più complesso dalla situazione scismatica che da secoli divideva la chiesa latina occidentale e quella ortodossa orientale,7 in cui rientrava quella greca e dell'antica Magna Grecia ovvero del Sud Italia. La situazione nondimeno appariva ancora recuperabile, in quanto non eretica, proprio attraverso la riforma liturgica che prevedeva di uniformare il rito greco a quello latino, per la celebrazione della messa e del battesimo, dell'eucaristia e della comunione.8

[8] In quegli stessi anni nonostante la vittoria conseguita a Lepanto, la perdita di Rodi, Cipro, Scio e delle isole cicladi costituiva una minaccia concreta, che portava i Turchi nel Mediterraneo con il conseguente esodo di molti greci in cerca di rifugio.9 Era dunque prioritario arginare la presenza turca in terra greca, in quanto avamposto strategico da mantenere sia dal punto di vista geografico che culturale.

[9] Nonostante le critiche mosse dai cardinali della Congregatio pro reformatione graecorum per la degenerazione dei costumi, i greci ricoprivano comunque un ruolo significativo nell'Europa del Cinquecento sin dall'epoca classica come ribadito nel Discorso sopra l’aiuto spirituale e ridottioni alla Grecia: dalla Grecia derivavano infatti "la politica, le leggi, la civiltà, tutti gli scritti et discipline almeno humane",10 ma soprattutto greci erano i padri e i dottori della Chiesa, autori di importanti testi sacri, prima testimonianza della cristianità e caposaldo della Chiesa occidentale.

[10] Per Gregorio XIII istituire un Collegio Greco a Roma offriva dunque la preziosa opportunità di rispondere all'imperativo avanzato nel Concilio Tridentino di distruggere le eresie e sanare le situazioni scismatiche. In questo modo il pontefice intendeva rilanciare l'immagine universale della Chiesa tramite una politica mirata ad uniformare la liturgia greca a quella latina, e al contempo fare dell'immagine riformata dei greci un modello identitario universale in cui l'Oriente cristiano poteva riconoscersi in contrapposizione all'incombente minaccia turca. Il collegio doveva formare alunni in grado di diffondere, dopo il ritorno in patria, la prima dottrina cattolica professata dai dottori greci della Chiesa tramite la divulgazione dei testi sacri e delle loro immagini.11 Per poter realizzare questo ambizioso programma il pontefice aveva dunque bisogno di ottimi conoscitori della lingua greca. In questo contesto si colloca la fondazione del collegio finalizzata a formare missionari ma soprattutto letterati, filosofi e teologi, anche laici, in grado di tradurre e interpretare la letteratura sacra e la patristica bizantina (Crisostomo, Gregorio Magno, Gregorio Nazianzeno, Basilio, Atanasio).

[11] Gregorio XIII affidò il compito di protettore e amministratore del collegio a Giulio Antonio Santori (1532–1602),12 profondo conoscitore delle comunità greche, della loro giurisdizione e tradizione liturgica. Il Santori infatti, studioso della lingua e del diritto greco, era stato cardinale titolare della cattedrale di S. Severina in Calabria e inquisitore del Santo Uffizio a Roma e a Caserta. Affiancato dai cardinali Guglielmo Sirleto (1514–1585), Giacomo Savelli (1523–1587) e Antonio Carafa (1538–1591),13 svolse il ruolo di intermediario, non solo per il Collegio e la Chiesa di S. Atanasio,14 ma anche per le altre comunità orientali presenti a Roma. È il caso di S. Girolamo degli Schiavoni, in cui il Santori non solo seguì i lavori, ma fu ispiratore del complesso programma iconografico svolto nella chiesa, incentrato sull'importanza di S. Girolamo come divulgatore e traduttore, al pari dei dottori greci.15

[12] La scelta del Santori confermava che anche il Collegio Greco rispondeva alle medesime regole imposte agli altri istituti, parte anch'esso della rete di collegi orientali fondati a Roma in età gregoriana. D'altra parte però si differenziava per alcuni elementi significativi: innanzitutto godeva di una privilegiata politica finanziaria. Pur affidandone il governo ai Gesuiti,16 come di consuetudine, il papa si adoperò per assicurare all'istituzione un cospicuo introito finanziario, attraverso l'acquisto di immobili, che garantivano la riscossione di fruttuose rendite, e annettendolo ad altre istituzioni ecclesiastiche: a partire dal 1581 all'Abbazia benedettina della Santissima Trinità di Mileto in Calabria; al vescovato di Chissano in Candia da cui ricavava ben mille scudi d'oro all'anno, e successivamente nel 1623 all'abbazia di S. Giovanni in Lauro anch'essa a Mileto.17 In questa maniera Gregorio XIII assicurava un legame diretto e costante con le comunità dell'Italia meridionale e uno scambio continuo, non solo di allievi ma anche di arredi liturgici e oggetti votivi per la celebrazione delle cerimonie ortodosse. Una politica finanziaria che privilegiava il Collegio Greco rispetto agli altri istituti orientali e paragonabile a quello degli inglesi, rinomato per la inusuale ricchezza di cui era stato dotato.18

[13] Al 1581 il Collegio Greco già possedeva un sorprendente numero di case concentrato nelle vie tra il Collegio e Trinità dei Monti, poi incrementato negli anni successivi: tre botteghe "sotto la fabbrica del Collegio", tre case in via dei Greci, quattro in via del Babbuino, nove in via della Vittoria e qualche vigna alle porte della città, oltre le corpose rendite già citate (fig. 3).19

3 Antonio Tempesta, Pianta di Roma, 1593, particolare con via del Babbuino e piazza di Spagna (© Bibliotheca Hertziana)

[14] Questo porterebbe a supporre che intorno a S. Atanasio, Gregorio XIII volesse creare un quartiere in cui i greci presenti a Roma avrebbero potuto risiedere. Dal Libro dei beni e delle rendite si evince esattamente il contrario: nessuna delle proprietà annesse al collegio era affittata a greci, come riscontrato nel caso degli inglesi con S. Tommaso di Canterbury, degli schiavoni con S. Girolamo, ma anche dei tedeschi in S. Maria dell'Anima,20 che destinavano una parte delle loro proprietà ai connazionali. Un ulteriore conferma che il collegio e la chiesa non costituissero, nelle intenzioni del pontefice, un punto di riferimento per l'intera comunità greca presente a Roma all'epoca, composta da mercanti, nobili, ecclesiastici e artisti, ma doveva dar vita ad una specifica comunità di letterati, filosofi ed eruditi, impegnati nell'attività di insegnamento, o di allievi. Per gli alunni Gregorio XIII nel 1583 acquistava diversi libri, in lingua greca e latina, destinati alla libreria che il collegio avrebbe dovuto ospitare al primo piano.21 Dell'edificio seicentesco, completamente ristrutturato nel corso del XVIII secolo, all'oggi si sapeva poco o niente. Dalle descrizioni nei registri delle proprietà e dalle incisioni di Marcantonio Ciappi e di Principio Fabrici (fig. 4)22 si evince come il collegio fosse suddiviso in tre piani e realizzato in diversi tempi. Il primo nucleo sorgeva tra il 1577 e il 1579; poi tra il 1580 e il 1581 "fu accresciuta l'habitatione con qualche fabbrica" e realizzato il guardaroba, le "cappelle o congregationi", le stanze per i padri e al secondo piano i dormitori. Nel 1584 l'edificio fu ultimato con l'aggiunta di una loggia, che si affacciava sul grande cortile interno.23

4 Veduta di Sant’Atanasio e del Collegio Greco, 1588, da Principio Fabrici, Delle allusioni, imprese, et emblemi del Sig. Principio Fabricii da Terano sopra la vita, opere, et attioni di Gregorio XIII Pontefice, Roma 1588, tav. CCI

La chiesa di S. Atanasio: spazio architettonico e liturgico tra controriforma e tradizione greca

[15] Quando nel 1579 Gregorio XIII e il Santori acquistarono dai Naro le proprietà che si affacciavano all'incrocio tra via del Babbuino e via dei Greci,24 si trovarono ad affrontare il problema di come realizzare una chiesa che soddisfacesse sia i greci che i latini. Nonostante le dimensioni fossero piuttosto esigue, S. Atanasio doveva quindi essere accessibile non solo agli alunni del collegio ma probabilmente all'intera comunità cattolica del rione.

[16] Sebbene durante il Concilio Tridentino fosse stata ribadita l'importanza di uniformare i sacramenti delle chiese orientali a quelle latine, la chiesa greca non sembrava accomunata alle altre in particolare per la volontà di Gregorio XIII di mantenere alcuni aspetti del rito greco, come primo passo verso una futura conversione, che invece non avvenne mai.25

[17] Il progetto di un edificio sacro in grado di ospitare entrambe le liturgie, e non "che pare che la chiesa si divida, o se ne facciano due, una greca e una latina",26 fu maturato quando già la fabbrica era iniziata. In un primo momento infatti la chiesa era stata concepita come un piccolo tempietto ad un solo ordine, annesso al collegio, coronato da un timpano e affiancato da due campanili, simile a quello raffigurato di Marcantonio Ciappi nel 1596 (fig. 5) e nella copertina di laurea conseguita da L. Allacci del 1610.27

5 Sant’Atanasio de’ Greci, 1596, da Marcantonio Ciappi, Compendio delle eroiche et gloriose attioni, et santa vita di Papa Gregorio XIII, Roma 1596, p. 30

Questa prima fase risale al novembre del 1580 ed evidentemente non prevedeva la possibilità di officiare entrambi i riti. L'idea di erigere una chiesa monumentale si fa strada l'anno successivo, quando il pontefice interpellò Gaspare Viviani (1579–1605), vescovo di Sitia a Creta, "et altri intelligenti di rito greco et architetti" convocandoli per consultarsi sulla chiesa e trovare una soluzione che soddisfacesse greci e latini.28 In quello stesso anno il Santori ottiene dal pontefice il consenso per acquistare un ulteriore appezzamento di terreno e ampliare la fabbrica della chiesa e dotarla di ben due absidi.29 Perchè questa decisione a lavori già incominciati?

[18] Tra gli architetti convocati da Gregorio XIII figurava Giacomo della Porta, il suo prediletto, attivo in quegli stessi anni in altri cantieri promossi dal Boncompagni, cui è attribuito il progetto definitivo (fig. 6).

6 Giacomo della Porta, Pianta della chiesa di Sant’Atanasio, 1581, 253 x 401 mm. Milano, Castello Sforzesco, Civico Gabinetto dei Disegni, inv. Racc. Sardini Martinelli 1, 10 (© Comune di Milano)

Il risultato è singolare: un impianto a croce greca allungata che termina in un triconco. Il corpo della chiesa si sviluppa maggiormente lungo l'asse longitudinale, per distanziare, anche se di poco, l'abside principale da un transetto ridotto, visto lo spazio angusto a disposizione. La decisione di dotare l’edificio di due absidi aggiuntive, due altari laterali e due piccole sacrestie consentiva l'officiazione sia del rito greco sia di quello latino. L'abside principale invece corrisponderebbe al vima, lo spazio destinato all'altare maggiore che racchiudeva il Sancta Sanctorum, separato dal corpo della chiesa dall'iconostasi.

[19] Le ragioni che indussero il pontefice a cambiare idea e ad acquistare un altro appezzamento di terreno dove poter costruire le due absidi laterali, sono a mio avviso da ricondurre al più vasto programma iconografico e decorativo sviluppato nelle coeve imprese promulgate da Gregorio XIII. Nel pieno rispetto di quanto decretato nel Concilio Tridentino, un'importante parte del progetto artistico e culturale promosso dal Boncompagni mirava alla riscoperta e alla valorizzazione del primo cristianesimo, quello di epoca medievale e appunto bizantina, esaltandone le figure più importanti.30 Il riferimento ai filosofi, ai padri e ai dottori della Chiesa diventa una costante nelle decorazioni delle imprese gregoriane, come nella omonima cappella realizzata dal Della Porta in S. Pietro, dove sugli altari figuravano un San Girolamo di Girolamo Muziano (oggi in S. Maria degli Angeli) e un San Basilio che celebra la messa, opera di Cesare Nebbia (noto soltanto grazie alla copia in mosaico di Pierre Subleyras).31

[20] La scelta di intitolare la chiesa ad Atanasio, vescovo di Alessandria, rispondeva ad un preciso significato propagandistico come spiegava lo stesso pontefice: "perché di questo santo non vi è chiesa, ma degli altri dottori vi è di S. Basilio, la cappella gregoriana di S. Gregorio Nazianzeno e di S. Giovanni Chrisostomo vi sarà l'altra all'incontro in S. Pietro".32

[21] L’intera decorazione appare connotata da questo fine al pari di un manifesto politico. Nelle cappelle laterali e nel transetto si fronteggiano le figure di Cristo e della Vergine. Gli affreschi nelle cappelle furono realizzate tra il 1584 e il 1585 dal fiorentino Francesco Traballesi con il Cristo tra i dottori e l'Annunciazione (figg. 7-8);33 l’artista, negli stessi anni, lavorò anche all'iconostasi, oggi sostituita da quella ottocentesca.34

7 Francesco Traballesi, Annunciazione, 1584–1585, affresco. Roma, chiesa di Sant’Atanasio (© Bibliotheca Hertziana/ Enrico Fontolan)

8 Francesco Traballesi, Cristo tra i dottori, 1584–1585, affresco. Roma, chiesa di Sant’Atanasio (© Bibliotheca Hertziana/ Enrico Fontolan)

Il Cavalier d'Arpino eseguì tra il 1588 e il 1591 le tele con la Crocifissione e l'Incoronazione della Vergine nel transetto (figg. 9-10).35

9 Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino, Incoronazione della Vergine, 1588–1591, affresco. Roma, chiesa di Sant’Atanasio (© Bibliotheca Hertziana/ Enrico Fontolan)

10 Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino, Crocifissione, 1588–1591, affresco. Roma, chiesa di Sant’Atanasio (© Bibliotheca Hertziana/ Enrico Fontolan)

[22] Anche la decorazione interna era stata concepita con intento unitario e ancora una volta allusivo alla continuità tra il culto bizantino e quello latino. Gli affreschi vanno infatti rapportati ai dipinti che ricoprivano l'iconostasi lignea, appena visibile nell’ incisione di fine Sei-, primo Settecento conservata presso il Collegio Greco.36 In una seconda stampa incisa da Vincenzo Pasqualoni nel 1733, che illustra il vescovo greco mentre nella solenne messa invoca sui fedeli le benedizioni divine, questi dipinti sono meglio riconoscibili:37 ai lati dei tre fornici dell'iconostasi che si aprivano sull'altare maggiore, erano rappresentati in due riquadri sormontati da timpani S. Giovanni Battista e La Vergine con il bambino; al di sopra delle due aperture laterali erano raffigurati a mezzo busto i quattro dottori della Chiesa (figg. 11-12).

11 Francesco Traballesi (attr.), I dottori della Chiesa, 1583–1585, originariamente parte dell' iconostasi della chiesa di Sant’Atanasio. Roma, Collegio Greco (© Bibliotheca Hertziana/ Enrico Fontolan)

12 Francesco Traballesi (attr.), I dottori della Chiesa, 1583-1585, originariamente parte dell' iconostasi della chiesa di Sant’Atanasio. Roma, Collegio Greco (© Bibliotheca Hertziana/ Enrico Fontolan)

[23] Sebbene dal punto di vista stilistico e iconografico gli affreschi rispettavano appieno i dettami post-tridentini, non avevano alcun fine didascalico o scopo evangelico, come invece è stato rilevato per le chiese e i collegi coevi, ad esempio nel caso degli affreschi in S. Stefano Rotondo, dove le immagini dei martiri e dei dottori della Chiesa sono accompagnati da cartigli o volumi che esplicano la loro funzione.38 Sulla trabeazione invece si susseguivano il ritratto di Cristo in un clipeo dorato e quelli degli apostoli.

[24] Il riferimento alla Vergine e ai ritratti dei padri della Chiesa greca e degli apostoli annunciava alle comunità cristiane greche e latine la comune appartenenza e tradizione storica, per l'affinità di culto e venerazione delle medesime immagini; un'unica storia rinnovata dall'avvento del Redentore la cui continuità in epoca moderna era assicurata dalla guida di Gregorio XIII, non a caso ritratto nelle vesti di un dottore della Chiesa. La figura del pontefice era esaltata inoltre dalla rappresentazione del suo stemma, il drago alato, per l’intero fregio della chiesa, peraltro molto simile all’architrave di un tempio classico per il particolare aggetto e articolazione plastica nonché per la definizione dei dettagli decorativi con il tradizionale motivo ad ovoli (fig. 13).

13 Giacomo della Porta, fregio con motivo ad ovoli. Roma, chiesa di S. Atanasio, particolare (© Bibliotheca Hertziana/ Enrico Fontolan)

"Nihil habet cum graecorum ecclesiis commune"

[25] Si può concludere dunque che la soluzione architettonica ideata per S. Atanasio costituisce un unicum nel panorama architettonico romano tardo-cinquecentesco, che si avvicinava molto più ad un chiesa latina che a quella greca. Come venne accolta dai greci del collegio questa originale rielaborazione?

[26] Negli anni Venti del Novecento il Padre Anschario de Vos descriveva la chiesa "non affatto adatta al rito bizantino",39 riportando le osservazioni avanzate nel 1640 da Leone Allacci nel De templis graecorum recentioribus.40 La singolare soluzione architettonica non era funzionale alla celebrazione della liturgia greca per le ridotte dimensioni dell'edificio, per la mancanza del nartece, dell'ambone centrale e del coro per i cantori, della cancellata che separava i fedeli e i sacerdoti, inclusi gli stalli per il clero e gli arredi liturgici necessari per la venerazione delle icone. L'iconostasi inoltre era considerata simile ad "un alto muro, con poche immagini dipinte". Nonostante lo sforzo compiuto dal pontefice e dai cardinali protettori di allestire la chiesa in modo di soddisfare le esigenze dei sacerdoti ortodossi, l'impianto e la decorazione sollevarono numerose lamentele tra i greci del collegio. L'iconostasi infatti si discostava dalla tradizione bizantina41 per i soggetti dipinti: ai lati della porta centrale usualmente erano raffigurate le icone di Maria e del Cristo, e non del san Giovanni Battista come nel nostro caso, dove peraltro la Madonna è ritratta a figura intera e con il bambino, non in fasce e con indosso una lunga veste bianca in atto di camminare. Mancava del tutto l'Ultima Cena che avrebbe dovuto coronare il fornice centrale. Un'iconografia lontana da quella tipica orientale, in questo caso tradotta in un linguaggio artistico che interpretava la "maniera greca" in uno stile affine ai principi post-tridentini. Le osservazioni di Leone Allacci42 erano di particolare peso perché avanzate da un ex alunno del collegio, importante teologo e filosofo impegnato in incarichi di rilievo nelle cerchie barberiniana e chigiana.43

[27] Non si tratta di un caso isolato e mette in luce un aspetto del tutto nuovo e ancora non indagato. Fino al 1604, anno di morte del Santori, possiamo considerare l'esempio di S. Atanasio e del collegio come il frutto di una diretta emanazione di Gregorio XIII e della sua cerchia, riflesso dei suoi interessi che, sebbene includessero la tradizione bizantino-greca, ne fornivano comunque una rivisitazione. Emblematica da questo punto di vista è l'espressione usata dal Santori che definisce "quadri grandi o icone"44 le opere del Traballesi e del D'Arpino, ignaro delle critiche che successivamente si sarebbero sollevate proprio per la mancanza di icone. È invece nel corso del Seicento che si manifesta quella che potremmo definire un'identità greca, in concomitanza al ruolo che il collegio assume nella Roma di primo Seicento, in particolare sotto l'egida di Gregorio XV e Urbano VIII (1623–1644).

[28] All'interno del collegio questo si traduceva nell'affermazione di una maggiore autonomia, in particolare per quanto concerne la celebrazione del rito, e in alcuni casi in aperta opposizione alle direttive che i cardinali protettori tentavano di imporre. I conflitti furono aspri fino al 1604, quando il governo del collegio fu affidato dapprima ai cardinali della Congregatio pro reformatione graecorum, poi ai gesuiti. I tentativi da parte della Compagnia di Gesù di "latinizzare" i riti greci, scegliendo due sacerdoti latini ed eliminando la lingua greca dalle celebrazioni,45 sono tra le principali cause che costrinsero i cardinali protettori a cercare altre soluzioni.46 Neanche l'istituzione della congregazione dedicata alla Santissima Assunzione nel 1592 e l'avvicendarsi dei somaschi e dei domenicani riuscirono ad accontentare i padri greci, che denunciavano inoltre l'incapacità di amministrare i beni del collegio, ma soprattutto di scegliere maestri in grado di insegnare le discipline greche.47

[29] Questa situazione di conflittualità e instabilità, a mio avviso, potrebbe costituire una delle principali cause per cui non fu mai portata a termine la decorazione dell'abside e delle sacrestie in S. Atanasio, e che, d'altro canto, contribuiva ad alimentare il desiderio da parte dei collegiali, diffidenti rispetto ad altre proposte, di disporre di un edificio sacro più idoneo alle loro esigenze.

[30] Una predisposizione che contrastava tuttavia con l'importanza tributata al collegio e agli eruditi che vi si formavano, spesso chiamati a ricoprire incarichi di rilievo nelle corti di pontefici e cardinali, tra cui figuravano peraltro i protettori dell'istituto: i cardinali Benedetto Giustiniani (1554–1621), originario di Scio, Alessandro Ludovisi (il futuro Gregorio XV), Lelio Biscia (1575–1638), committente di Andrea Sacchi, e Maffeo Barberini (il futuro Urbano VIII).48 È infatti a partire dal primo decennio del XVII secolo che i greci divennero portavoce di una precisa identità che affondava le radici nella tradizione greco-constantinopolitana, ma che al contempo veniva aggiornata e rielaborata ai moderni principi cattolici assicurandone così la sopravvivenza.

Ringraziamento
Desidero rivolgere un particolare ringraziamento a Susanne Kubersky-Piredda, Tobias Daniels e il gruppo di ricerca Minerva (Andrea Bacciolo, Fabiana Ciafrei, Giulia Iseppi) per gli innumerevoli confronti, suggerimenti e preziosi consigli; per il generoso supporto e la condivisione delle sue ricerche Anna Bedon e per la disponibilità il rettore Padre Manuel Nini e il vicerettore Giovanni Xanthakis del Collegio Greco di Roma.

License
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1 Sulla fondazione dei collegi nazionali, in particolare in Campo Marzio, cfr. Federico Bellini, "I collegi e gli insediamenti nazionali nella Roma di Gregorio XIII (con una nota su Sant'Atanasio dei Greci e Trinità dei Monti)", in: Città e storia 2 (2007), 111-130; sulle chiese nazionali a Roma tra fine Cinque inizio Seicento si vedano gli atti del convegno tenutosi nel 2013: Identità e rappresentazione. Le chiese nazionali a Roma 1450–1650, a cura di Alexander Koller e Susanne Kubersky-Piredda, con la collaborazione di Tobias Daniels, Roma 2015.

2 Sulla chiesa di S. Atanasio cfr. Leone Allacci, De templis Graecorum recentioribus, Colonia 1645; Jeremiah Donovans, Rome, Ancient and Modern, Roma 1844; Eleuterino F. Fortino, S. Atanasio chiesa di rito greco, Roma 1970; Anna Bedon, "Uniatismo, apostolato e colonialismo religioso nell'età di Gregorio XIII: La chiesa di S. Atanasio di rito greco in Roma", in: Antichità Viva 22 (1983), no. 5-6, 46-57; Antonietta dall'Agli, "Sant'Atanasio e Collegio Greco", in: Roma Sacra 6 (1996), 28-29; Roberto Tancredi, "La costruzione della chiesa di S. Atanasio dei Greci a Roma (1578–1583)", in: Palladio. Rivista di storia dell'architettura e restauro, 4. ser., 11 (1998), n. 21, 13-34; Roberto Tancredi, "Giacomo della Porta e Martino Longhi il Vecchio nella chiesa di S. Atanasio dei Greci a Roma", in: Opus 6 (1999), 139-172; Giovanni Fabriani, Sant'Atanasio de' Greci a Roma e la liturgia greca, Roma 1999; Federico Bellini, "I collegi e gli insediamenti nazionali nella Roma di Gregorio XIII: con una nota su S. Atanasio dei Greci e la Trinità dei Monti", in: Città e storia 2 (2007), 111-130; Pio Baldi e Paolo Marconi, "La chiesa di S. Atanasio dei Greci: il restauro della facciata", in: Bollettino d'Arte 76 (1991), n. 6, 77-104.

3 Sui collegi nazionali cfr. Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai giorni nostri, 103 voll., Venezia 1840–1879, vol. 19, 142-242; Bellini, "I collegi e gli insediamenti nazionali nella Roma di Gregorio XIII", 113-118; Giuseppe Antonio Guazzelli, "L'immagine del Christianus Orbis nelle prime edizioni del Martyrologium Romanum", in: Unità e frammenti di modernità. Arte e scienza nella Roma di Gregorio XIII Boncompagni (15721585), ed. Claudia Cieri Via, Ingrid D. Rowland e Marco Ruffini, Pisa 2012, 190-192. In particolare sul Collegio dei Greci: Pietro Pompilio Rodotà, Dell'origine, progresso, e stato presente del rito greco in Italia osservato dai greci, monaci basiliani, e albanesi, 3 voll., Roma 1758–1763; Placide De Meester, Le Collège pontifical grec de Rome, Roma 1910; Jan Krajcar, "The Greek College in the Years of Unrest (1604–1630)", in: Orientalia Christiana Periodica 32 (1966), 5-38; Jan Krajcar, "The Greek College under the Jesuits for the First Time (1591–1604)", in: Orientalia Christiana Periodica 31 (1965), 85-118; Vittorio Peri, "Inizi e finalità ecumeniche del Collegio Greco in Roma", in: Aevum 44 (1970), n. 1, 1-81; Antonis Fyrigos, Il Collegio Greco di Roma: ricerca sugli alunni, la direzione, l'attività, Roma 1983; Heleni Porfyriou, "La presenza greca tra Roma e Venezia tra XV e XVI secolo", in: La città italiana e i luoghi degli stranieri XIVXVII secolo, a cura di Donatella Calabi e Paola Lanaro, Bari 1998, 21-35; Roberto Tancredi, "La costruzione della chiesa di S. Atanasio dei Greci a Roma (1578–1583)", in: Palladio. Rivista di storia dell'architettura e restauro, 4. ser., 11 (1998), n. 21, pp. 13-34.

4 Giulia Altarozzi, "La diplomazia di Gregorio XIII e il problema turco", in: Biserică, societate, identitate. In honorem Nicolae Bocşan, a cura di Sorin Mitu, Rudolph Graf, Ana Victoria Sima e Ion Cârja, Cluj-Napoca 2007, 631-637; Stefano Pierguidi, "Il drago di Gregorio XIII, la peste e i Turchi", in: Il potere dell’arte nel Medioevo. Studi in onore di Mario D’Onofrio, a cura di Manuela Gianandrea, Francesco Gangemi e Carlo Costantini, Roma 2014, 1007-1014.

5 Questo argomento è stato presentato in occasione del colloquio tenutosi presso la Bibliotheca Hertziana – Istituto Max Planck per la storia dell'arte a Roma lunedì 1 febbraio 2016. Un più ampio contributo su S. Atanasio e la cultura greca nella Roma del XVII secolo è stato recentemente pubblicato da chi scrive, v. Camilla S. Fiore, "Gregorio XIII e i Greci di S. Atanasio a Roma tra fine Cinque e inizio Seicento", in: Römisches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana 42 (2015-2016) [2018], 389-438.

6 Susanne Kubersky-Piredda, "Chiese nazionali fra rappresentanza politica e Riforma cattolica: Spagna, Francia e Impero a fine Cinquecento", in: Identità e rappresentazione. Le chiese nazionali a Roma 1450–1650, a cura di Alexander Koller e Susanne Kuberky-Piredda, con la collaborazione di Tobias Daniels, Roma 2015, 17-64: 18.

7 Cfr. Vittorio Peri, "Chiesa latina e Chiesa greca nell'Italia post-tridentina", in: La Chiesa greca in Italia dall'VIII al XVI secolo, a cura di Vittorio Peri, 3 voll., Padova 1972–1973, I, 272-469. Sulle comunità cristiane cfr. Vittorio Peri, Da Oriente ad Occidente: le chiese cristiane dall'Impero Romano all'Europa moderna, Roma 2002; Giorgio Fedalti, Le chiese d'Oriente: dal Seicento ai giorni nostri, Milano 1995.

8 Sulla liturgia greca si veda Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione, vol. 39, 142-242; Rodotà, Dell'origine, progresso, e stato presente del rito greco.

9 Sugli insediamenti dei greci in Italia cfr. Rodotà, Dell'origine, progresso, e stato presente del rito greco; Heleni Porfyriou, "La presenza greca in Italia: chiese, confraternite e collegi", in: Il Rinascimento italiano e l’Europa, vol. 6: Luoghi, spazi, architetture, a cura di Donatella Calabi e Elena Svalduz, Vicenza 2010, 567-583, 804-805.

10 Biblioteca Apostolica Vaticana (d'ora in poi BAV), Vat. Lat. 5527, Discorso sopra l’aiuto spirituale e ridottioni della Grecia. Alla santità di Grigorio Papa XIII. Mandato per mano dei Ss. cardinali Savello, Sirleto, Santori, et Carafa l’anno 1575, 51r.

11 Sugli alluni del collegio che fecero ritorno in patria si veda Jan Wladyslaw Wos, "Cronaca degli allievi del Collegio Greco in Roma (1577–1640)", in: Archivio Storico per la Calabria e la Lucania 40 (1972), 129-137.

12 Su Giulio Antonio Santori si veda la recente monografia di Saverio Ricci, Il sommo inquisitore: Giulio Antonio Santori tra autobiografia e storia, Roma 2002.

13 Insieme al pontefice, il Santori e gli altri cardinali fondarono la Congregatio pro reformatione graecorum, cfr. Vittorio Peri, La Congregazione dei Greci (1573) e i suoi primi documenti, Roma 1967.

14 Sul ruolo svolto dal cardinale Santori nella fondazione dei collegi nazionali non esiste una bibliografia specifica. Per quanto riguarda il Collegio Greco cfr. Bedon, "Uniatismo, apostolato e colonialismo religioso nell'età di Gregorio XIII", 50-53; Tancredi, La costruzione della chiesa di S. Atanasio, 18-20.

15 Jasenka Gudelj, "San Girolamo dei Croati a Roma: gli Schiavoni e il cantiere sistino", in: Identità e rappresentazione, a cura di Koller e Kubersky-Piredda, 297-326: 316-317.

16 Jan Krajcar, "The Greek College under the Jesuits for the First Time (1591–1604)", in: Orientalia Christiana Periodica 31 (1965), 85-118.

17 Al momento della sua fondazione Gregorio XIII conferì al collegio una dote di 100 scudi d'oro al mese versati dalla Camera Apostolica e "tutte l'entrate del Vescovato di Chissano in Candia all'ora vacante", dominio veneto sull'isola di Creta fino al 1669. Infine altri cento scudi da Andrea Doria vescovo di Milo in Sicilia. Il collegio inoltre fu svincolato dal pagare tasse e gabelle. Per i beni, le rendite e i rapporti con l'Abbazia di Mileto in Calabria cfr. Archivio del Collegio Greco (d'ora in poi AGCo), Indice delle rendite, de' beni, e capitali del Collegio Greco, vol. 40, 2r-v; Krajcar, "The Greek College under the Jesuits", 37-38.

18 Tra i collegi di fondazione gregoriana, quello greco non era alla stregua del Collegio Germanico-Ungarico per capacità finanziaria. Appare però singolare che alle comunità degli armeni e dei maroniti Gregorio XIII fece assegnare due chiese già esistenti (S. Maria Egiziaca e S. Giovanni della Ficozza), mentre per i greci pensò ad una chiesa peraltro che ne rispecchiasse la tradizione liturgica, secondo una logica più affine al caso degli inglesi e poi a quello degli schiavoni con S. Girolamo di committenza sistina. Cfr. Andrea Bacciolo, "Identità e autorità nel ciclo dei martiri del Collegio Inglese di Roma", in: Identità e rappresentazione, a cura di Koller e Kubersky-Piredda, 271-295, in part. 272-273; Jasenka Gudelj, "San Girolamo dei croati a Roma: gli Schiavoni e il cantiere sistino", in: Identità e rappresentazione, a cura di Koller e Kubersky-Piredda, 297-325.

19 AGCo, Libro dei beni, 2v-5v.

20 Cfr. Per S. Maria dell’Anima cfr. Luciano Palermo, "Il patrimonio immobiliare, la rendita e le finanze di S. Maria dell'Anima nel Rinascimento", in: S. Maria dell'Anima: zur Geschichte einer 'deutschen Stiftung' in Rom, a cura di Michael Matheus, Göttingen 2010, 21-42. Per S. Girolamo degli Schiavoni cfr. Lee Egmont, Habitatores in urbe. The population of Renaissance Rome, Roma 2006; Gudelj, "San Girolamo", 298-299; per gli inglesi cfr. Claudio Cristallini, I libri della case di Roma. Il catasto del Collegio Inglese (1630), Roma 1987; Bacciolo, "Identità", 270-271; per gli spagnoli a Roma cfr. Manuel Piñeiro Vaquero, La renta y las casas, el patrimonio inmobiliario de Santiago de los Españoles de Roma entre los siglos XV y XVII, Roma 1999.

21 Archivio di Stato di Roma, Camerali I, Chirografi di Gregorio XIII, 1581–1585, reg. 15, serie A, n. 281, 68v.

22 Principio Fabrici, Delle allusioni, imprese, et emblemi del Sig. Principio Fabricii da Terano sopra la vita, opere, et attioni di Gregorio XIII Pontefice, Roma 1588; Marcantonio Ciappi, Compendio delle heroiche et gloriose attioni, et santa vita di Papa Gregorio XIII, Roma 1596.

23 AGCo, Libro dei beni, 31.

24 Sono note due stime dei terreni per l'edificazione di S. Atanasio, nel luglio e nel novembre del 1578, la prima sicuramente realizzata di Martino Longhi, cfr. AGCo, Giustificazioni, vol. 158 e Instrumenti, vol. 58, c.n.n., pubblicati in Vitaliano Tiberia, Giacomo della Porta: un architetto tra Manierismo e Barocco, Roma 1974; Bedon, Uniatismo, 50; Baldi e Marconi, La chiesa di S. Atanasio dei Greci, 88-89, 110-111. Per i canoni pagati da Fabrizio e Giovanni Antonio Naro si veda AGCo, Libro dei beni, 62-66.

25 Cfr. Rodotà, Dell'origine.

26 È quanto si apprende dalle Udienze del 1581, Archivio Segreto Vaticano (d'ora in poi ASV), 17 dicembre 1579, Armadio XVIII, 35.

27 Ancora non è chiaro però il motivo per cui sia nel Compendio di Ciappi che nel diploma di Allacci si faccia riferimento ad un modello di facciata che il pontefice decise di scartare, e non invece a quella effettivamente realizzata, e ancora oggi visibile, dal Della Porta almeno un decennio prima. Sulle diverse ipotesi avanzate dagli studi e le varie fasi di realizzazione cfr. Bedon, Uniatismo, 51-53; Baldi e Marconi, La chiesa di S. Atanasio dei Greci, 84-86; Tancredi, La costruzione della chiesa, 21-23; Bellini, I collegi, in part. 123-124, 130 nota 38. Il diploma di Leone Allacci è conservato in AGCo, vol. 125; Ciappi, Compendio, 30.

28 L'urbinate Gaspare Viviani fu vescovo di Sitia e di Anagni. Importante figura di riferimento per Gregorio XIII, che lo incaricò di tradurre in greco gli atti del Concilio di Firenze (1439), il Viviani aveva affidato ad artisti greci la decorazione della cattedrale di S. Tito in Creta. Cfr. Vittorio Peri, Gaspare Viviani, un vescovo filelleno nella Creta del XVI secolo, Atene 1974; Filippo Caraffa, Gaspare Viviani, vescovo di Anagni, 1579–1605, Anagni 1982; Nikolaos Panagiotakes, El Greco. The Cretan Years, Londra 2009, 74-77. Il coinvolgimento di Viviani è confermato dall'Udienza del 26 ottobre del 1581: "Dell'ampliatione della Chiesa del Collegio Greco, essendo comprato il fienile, che si facesse conforme al rito greco. Che quello restarà per intrata del Collegio e gli replicò di farsi vedere dal Vescovo di Anagni (Viviani) et altri intelligenti di rito greco" (ASV, Arm. XVIII, c. 91v).

29 AGCo, Instrumenti, 595r-v.

30 Cfr. Gianni Pitigliano, "La traslazione di S. Gregorio di Nazianzo tra urbanistica e opere di misericordia", in: Unità e frammenti di modernità, a cura di Cieri Via, Rowland e Ruffini, 89-110. Sul revival paleocristiano nella seconda metà del Cinquecento cfr. Alessandro Zuccari, "La politica culturale dell'Oratorio romano nella seconda metà del Cinquecento", in: Storia dell'Arte 41 (1981), 77-112; Alessandro Zuccari, "La politica culturale dell’Oratorio Romano nelle imprese artistiche promosse da Cesare Baronio", in: Storia dell'Arte 42 (1981), 171-193.

31 La bibliografia sulla cappella gregoriana è molto vasta. Si segnalano i contributi i più recenti con bibliografia completa: Guido Cornini, "'Pittura per l'eternità': lo studio del mosaico e la decorazione a San Pietro da Gregorio XIII a Pio VII", in: La Basilica di San Pietro. Fortuna e immagine, a cura di Giovanni Morello, Roma 2012, 371-443, in part. 374; Federico Bellini, "La costruzione della Cappella Gregoriana in San Pietro, di Giacomo della Porta: cronologia, protagonisti e significato iconologico", in: Quaderni dell'Istituto di Storia dell'Architettura 34/39 (1999/2002), 333-346.

32 ASV, Armadio XVII, 33v.

33 Alessandro Nesi, "Dai dipinti per l'antica iconostasi di S. Atanasio dei Greci a Roma, uno spunto critico per le opere di Francesco Traballesi", in: Arte Cristiana 95 (2007), n. 841, 252-263.

34 L'antica iconostasi è stata smontata e divisa in predelle incorniciate, oggi conservate nel Collegio Greco di Roma. La scarsità di immagini che documentino l'iconostasi è compensata dalle descrizioni tramandate dalle fonti, cfr. Giovanni Baglione, Vite de' pittori, scultori et architetti dal Pontificato di Gregorio XIII del 1572 fino a' tempi di Urbano VIII nel 1642, Roma 1642, 32-33; Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, 167.

35 Herwarth Röttgen, ed., Mostra antologica delle opere di Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino, cat. di mostra, Roma 1973, 24; Herwarth Röttgen, Il cavalier Giuseppe Cesari d'Arpino. Un grande pittore nello splendore della fama e nell'incostanza della fortuna, Roma 2002, 240-241, nn. 20 e 21, con bibliografia precedente.

36 La stampa a colori con la Veduta della chiesa di S. Atanasio con antica iconostasi è conservata presso il Collegio Greco.

37 La stampa realizzata dall’incisore Vincenzo Pasqualoni nel 1733 fa parte della raccolta di 34 tavole incise del canonico Francesco Fabi Montani, si veda: Luigi Barocci, Collezione di quaranta sacre cerimonie usate principalmente in Roma, Roma 1850.

38 Bacciolo, "Identità e autorità nel Ciclo dei Martiri", 271-295.

39 AGCo, Storia della Biblioteca, vol. 9, c. n. n. La lunga lista di mancanze che il De Vos elencava confermano la lunga e delicata impostazione del progetto, rivisto più volte sin dalle prime fasi alla seconda metà dell’Ottocento quando l’architetto Andrea Busiri Vici (1818–1911) ristrutturò completamente la chiesa cambiandone significativamente l’aspetto. In occasione del centenario del Concilio di Firenze (1438–1445) il De Vos auspicava la costruzione di un nuovo edificio sacro, conforme alle esigenze dei greci: "non sarebbe essa un’opportuna occasione di promuovere a Roma la costruzione d'un bello e perfetto tempio cattolico bizantino per i Greci?" Sulla figura del De Vos si sa molto poco, i pochi documenti noti sono pubblicati in Cyrill Korolevsky, Le Livre de ma vie: mémoires autobiographiques, a cura di Giuseppe Maria Croce, Città del Vaticano 2007, 170-171.

40 Leone Allacci, De templis graecorum recentioribus, Roma 1645, 36-37: "Nihil habet cum Graecorum Ecclesiis commune: quando & ingressus ipse diversus, nec Embolum nec Narthecem habeat, neque Templum ab aliis partibus separetur, altaribus utrinque excavatis."

41 Cfr. Gaetano Passarelli, Iconostasi. La teologia della bellezza e della luce, Milano 2003, 19-26; Jaroslav Pelika, The Bizantine Apologia for Icons, New Haven e Londra 1990, 41-66.

42 Allacci, De templis graecorum recentioribus, 37: "Aliunde itaque Templorum recentiorum imagines petendae sunt, quae, ut alias diximus, tribus praecipuis partibus constituuntur, Narthece, Nao, & Bemate."

43 Sull'Allacci si veda: Domenico Musti, "Allacci Leone", in: Dizionario biografico degli Italiani, vol. 2, Roma 1960, 467-471; Philip P. Argenti, The Religious Minorities of Chios. Jesus and Roman Catholics, Cambridge 1970; Charles A. Frazee, "Leon Allatios, a Greek Scholar of the Seventeenth Century", in: Modern Greek Studies Yearbook 1 (1985), 64-72; Thomas Cerbu, Leone Allacci (1587–1669): the Fortunes of an Early Byzantinist, Ph.D. thesis, Harvard University 1986, Ann Arbor, MI 1986; Karen Hartnup, "On the Beliefs of the Greeks". Leo Allatios and Popular Orthodoxy, Leiden 2004; Thomas Cerbu, "Tra servizio e ambizione: Allacci studioso e bibliotecario nella corrispondenza con Antonio Caracciolo", in: Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana, vol. 3: La Vaticana nel Seicento (1590–1700): una biblioteca di biblioteche, a cura di Claudia Montuschi, Città del Vaticano 2014, 175-198.

44 ASV, Armadio XVIII, 21 ottobre 1582, 140r-v.

45 Cfr. Krajcar, The Greek College under the Jesuits, 37-38; Peri, La Congregazione dei Greci, 245.

46 AGCo, Libro de beni, 7: "Fu governato il Collegio dal 1576 […] sino al primo ottobre 1591 da SS. Cardinali protettori, e specialmente da uno di loro, il quale fù il Signor Cardinal Giulio Antonio Santorio detto il Cardinal Santa Severina, et egli vi tenea diversi rettori or religiosi or secolari; ma procedendo sotto di questi molto male il governo, volle Papa Gregorio XIII darlo à governare à Priori della Compagnia del Gesù […] al Padre Claudio Acquaviva Generale della Compagnia."

47 AGCo, Libro de beni, 7: "Il Cardinale Giustiniani di natione greca nativo di Scio, ma di rito e d'affetto latino […] pose a governarlo i Padri Somaschi; e perché questi non avevano maestri idonei, vi pose per Maestri due padri domenicani: e subito nacquero delle dissensioni;" cfr. a riguardo: Alberto Zucchi, "I collegi ecclesiastici di Roma e l'ordine di S. Domenico. Il Collegio Greco", in: Fyrigos, Il Collegio Greco di Roma, 143-147.

48 AGCo, Libro de beni, 7-9. Sul collezionismo delle opere d'arte bizantine tra Quattrocento e Ottocento si veda Simona Moretti, Roma bizantina. Opere d'arte dall'Impero di Costantinopoli nelle collezioni romane, Roma 2007.