RIHA Journal 0243 | 30 March 2020
Il volto di Bologna
Immagini, tradizioni e luoghi di una nazione a Roma
Abstract
This paper aims to define the role of the Bolognese 'nation' in sixteenth- and
seventeenth-century Rome. The church of Saints John the Evangelist and Petronius,
built in 1576 under the Bolognese Pope Gregory XIII, represents the first
instance of this congregation's architectural presence in the Eternal City. The
community began defining its unique character through a specific figurative
language, stimulated by the need to express its own spirituality and local
culture as well as to celebrate the role played by a number of famous Bolognese
citizens within the congregation and in the Roman Curia. A detailed analysis of
the decorative and liturgical programme of this church, as well as archival
research in various Bolognese and Roman institutions shed light on the religious,
social and artistic practices through which this 'nation' aimed to express its
identity.
[1] Nell'ambito degli studi sulle confraternite nazionali romane si presenta sinora quasi inosservata la vicenda dei Bolognesi e della loro chiesa dedicata ai Santi Giovanni Evangelista e Petronio, sede della confraternita che dal 1576 ha riunito i cittadini felsinei residenti a Roma. La scarsa attenzione critica riservata a questa comunità, a fronte degli studi già condotti su altre presenze nazionali nell’Urbe, è anomala per una città notoriamente legata a Roma nelle sue manifestazioni politiche, culturali e religiose, seconda nello Stato Pontificio solo alla capitale e protagonista della scena internazionale del Cinquecento. In varie occasioni il dibattito critico ha ripercorso gli appuntamenti religiosi e mondani che per tutto il XVI secolo hanno spostato il baricentro politico dell'Italia verso Nord.1 Questo silenzio sulla nazione bolognese di Roma rispecchia i tratti di una storiografia romana che, fin dalle più antiche guide sei/settecentesche,2 ha riportato in maniera sonnolenta e ripetitiva poche e semplici note sulla chiesa, che ha il suo civico in via del Mascherone (Fig. 1); tale sintesi rimane inalterata e priva di approfondimenti anche negli studi di storia dell'urbanistica romana del Novecento.3
[2] All'inizio del secolo scorso la chiesa e la confraternita bolognese vengono presentate con laconiche parole da Oreste Tencajoli come realtà "inavvertita" e "modesta",4 contenitore di pochi elementi di valore messi in luce dai primi studi sulle chiese nazionali,5 sulla scorta delle Notizie istoriche delle chiese di S. Maria in Iulia, di S. Giovanni Calibita dell'Isola Licaonia e di S. Tommaso degli Spagnuoli o della Catena detta poi de' SS. Gio. e Petronio dei Bolognesi […], raccolte nel 1823 dall'abate erudito Francesco Girolamo Cancellieri (Roma, 1751–1826). Lo studioso, che costruisce la sua relazione storica con l'ausilio di alcune carte d'archivio della confraternita, allora ancora conservato in chiesa, dà alle stampe il primo tentativo di studio monografico sulla realtà bolognese, che rimane tuttora un testo di sostanza storica e terreno di utile confronto per gli studi moderni. Recentemente sono infatti apparsi alcuni interventi puntuali, focalizzati sui progetti architettonici di Ottaviano Mascherino (Bologna 1536 – Roma 1606)6 e sulla vicenda della pala che ornava l'altare maggiore, opera di Domenico Zampieri, il Domenichino (Bologna 1581 – Napoli 1641).7 Questi formulano premesse fondamentali per avviare uno studio omogeneo, qui introdotto, che affronti in maniera sistematica il nodo critico della formazione della confraternita, il particolare carattere associazionistico, singolo e/o familiare, dei bolognesi e i meccanismi identitari che trovano una loro peculiare espressione sotto il profilo storico-artistico, per ricomporre un contesto di notevole interesse per i rapporti fra Bologna e Roma in età moderna. Una lettura più analitica di tale vicenda prende corpo grazie anche allo spoglio, tuttora in corso, dell'archivio della confraternita (Roma, Archivio Storico del Vicariato), di cui si sono recentemente analizzate le fasi di formazione e dispersione,8 vittima di una fuga di documenti fra Otto e Novecento per cui oggi si presenta parzialmente mutilo nella sua sezione più antica. Tale patrimonio costituisce materia preliminare per individuare quegli elementi sociali, artistici e liturgici che hanno contribuito a dare ai Bolognesi l'identità di 'nazione' presente a Roma a partire dal tardo Rinascimento.
[3] Grazie ai Capitoli stipulati tra Bologna e Nicolò V (1447), che segnano una tregua nella lotta fra libero Comune e Chiesa romana e offrono l'opportunità di mandare un ambasciatore stabile presso la curia pontificia, la quantità di cittadini felsinei residenti a Roma a vario titolo inizia ad aumentare.9 Ma le prime notizie riguardo a una comunità unificata sotto l'insegna di Bologna sono solo del 1575, anno in cui la necessità di sottolineare un'appartenenza diventa più urgente per accogliere gli "infiniti cittadini et gentil'huomini bolognesi"10 che scendevano dall'Emilia in occasione del Giubileo voluto da Gregorio XIII, il concittadino Ugo Boncompagni (1572–1585). Il cronista Domenico Maria Galeati (Bologna 1704–1796) nel suo Diario manoscritto informa che "La compagnia del Corpo di Cristo di S. Pietro al numero di 160 […] giunti a Roma alloggiarono alla compagnia di San Giovanni de' Bolognesi, dalla quale ebbero sette pasti".11 In quell'anno i Bolognesi risultano dunque già in grado di accogliere pellegrini, stanziati nella chiesa e ospedale di San Giovanni Calibita sull'Isola Tiberina, dopo che le monache benedettine erano state obbligate da papa Boncompagni a unirsi alle consorelle nella chiesa di Sant'Anna dei Funari già dal 1573.
[4] Lo stesso pontefice era poi intervenuto nel settembre 1575 istituendo formalmente l'arciconfraternita bolognese, che rimase sull'isola solo dieci anni, per poi trasferirsi in modo definitivo in via del Mascherone, cedendo nel 1584 chiesa e monastero all'Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio popolarmente detto Fatebenefratelli. La documentazione conservata presso l'archivio della Curia Generalizia dei Fatebenefratelli permette di precisare questi movimenti, colmando in parte la perdita della sezione cinquecentesca dell'archivio bolognese. In essa si conserva un fascicolo con alcune copie dei due strumenti d'acquisto del Calibita da parte dell'ordine e le trattative con i Bolognesi (1584 e 1588).12 Accanto ai rogiti compare una Memoria della compera fatta del locale di San Giovanni Calibita di Roma non datata ma firmata da Diego de la Cruz, personaggio di spicco dell'ordine, il cui nome compare in cima alla lista dei firmatari della compera, ma soprattutto è nell'elenco dei fondatori dell'ospedale romano.13 Vi si leggono minuziosi passaggi di denaro fra i Bolognesi e le monache, per arrivare all'atto con cui l'ordine di San Giovanni riscatta il debito contratto dai Bolognesi, che non erano riusciti a pagare l'intera somma alle benedettine (2700 scudi), rilevando chiesa e ospedale. Il manoscritto, redatto da uno dei protagonisti dello scambio fra Bolognesi e frati spagnoli,assume dunque il valore di testimonianza oculare, dando sostanza documentaria alle cronache già note e rinnovata certezza nella ricostruzione delle vicende iniziali della confraternita.
[5] La congiuntura politica e culturale, già da più parti analizzata, le è particolarmente favorevole: Ugo Boncompagni aveva collocato Bologna in netto predominio nell'attualità politica ed ecclesiastica dello Stato Pontificio, attraverso l'opera a quattro mani dei cardinali nipoti Filippo Boncompagni e Filippo Guastavillani14 e il coinvolgimento nell'amministrazione papale di illustri bolognesi. Se fin dall'alto Medioevo l'immagine di Bologna in Europa si incarnava nella fama dello Studium, dopo il Concilio di Trento la città era stata rilanciata dal vescovo Gabriele Paleotti (Bologna 1522– Roma 1597), che ne aveva fatto un modello di pastorale riformata.15 A partire dall'elezione di Boncompagni la corte papale elargisce inoltre committenze volte ad assicurarsi l'opera dei più interessanti artisti bolognesi allora operanti in Roma.16 L'apoteosi figurativa di questo processo è la decorazione della Sala Bologna nel Palazzo Apostolico, dove le proporzioni grandiose per la prima volta dedicate a una decorazione cartografica esplicitano la volontà di celebrare la città natale nello spazio esclusivo della nuova residenza (Fig. 2).
Nelle piante della città e del contado affrescate e negli eventi di storia locale riportati sulle pareti prende corpo la gloria della città e dell'università in cui lo stesso Gregorio aveva studiato e da cui aveva avviato la sua ascesa, confermando un programma pontificio volto ad esaltare il primato di Bologna e del suo territorio sulle altre città italiane.17
[6] Sulla scia di questa campanilistica visione del potere non è fuori luogo pensare che la confraternita si debba inserire nel medesimo processo di esaltazione monumentale, dove la cura e il sostentamento di una fabbrica prestigiosa avrebbero potuto innalzare l'immagine della Chiesa bolognese sulle altre nazioni. Stride tuttaviail contrasto fra la celebrazione della città di Bologna dentro le mura del palazzo vaticano e l'indifferenza pontificia per la chiesa dei connazionali. Non risulta infatti dagli studi fin qui condotti che il papa o i cardinali nipoti siano intervenuti con riconoscimenti ufficiali o con atti di omaggio. Furono i Bolognesi stessi a erigere il loro sodalizio nel 1575, in una circostanza di isolamento nota a Cancellieri quando scrive che "supplicarono Gregorio XIII, che da principio li approvò soltanto, vivae vocis oraculo, ad approvarla ancora"18 come risulta dalla lettera apostolica dell'anno successivo.19 La Memoria stesa da Diego de la Cruz conferma l'impressione che nei suoi primi anni di vita la compagnia si trovi in una condizione di indigenza economica, per cui il contratto con le monache non viene onorato e gran parte del debito viene coperto dall'intervento dei Fatebenefratelli.
[7] Nel 1584 la confraternita viene quindi spostata dal Tevere al Rione Regola, presso la chiesa di San Tommaso degli Spagnoli (detta anche della Catena) in via del Mascherone, sorta nel Trecento e officiata da frati spagnoli.20 Il contesto urbano individuato limita fortemente l'espansione della chiesa che, costretta nell'isolato in angolo con via Giulia, si scontra con la mole massiccia di Palazzo Farnese, privandosi di respiro spaziale e scenografico, secondo un'assegnazione che non prevede fin dall'inizio un progetto di proporzioni analoghe alle maestose chiese di confraternite vicine, fra cui Fiorentini e Senesi (Fig. 3).
[8] Eloquenti in questo senso si dimostrano i progetti di Ottaviano Mascherino (1536–1606) che, divenuto architetto di fiducia della corte pontificia, fu probabilmente inviato dal papa stesso, forse per intercessione dei nipoti, che intrattenevano con l'artista frequenti rapporti di committenza:21 i Bolognesi videro nei suoi disegni un fare poco ambizioso, che li spinse ad autofinanziarsi per ottenere un edificio più maestoso, grazie adonazioni che fecero alcuni concittadini, peraltro molto vicini a Boncompagni, come Ludovico Bianchetti, suo maestro di Camera, e suo fratello Lorenzo, auditore di Rota.22 La sostanziale indifferenza di Gregorio per le vicende della chiesa è infine suggellata dall'assenza eloquente della fabbrica sia nei rendiconti degli architetti pontifici23 sia nell'elenco redatto dal biografo pontificio Marcantonio Ciappi nel Compendio delle heroiche et gloriose attioni, et santa vita di Papa Gregorio XIII (Roma 1596): l'unica menzione, dedicata alla confraternita e non alla chiesa, viene inserita nel capitolo sui "Benefici" dati alla città di Bologna, in calce all'elenco di gentiluomini o istituzioni che hanno goduto dei privilegi papali. A questo si aggiungono molte memorie ritrovate in archivio, che ignorano il nome del pontefice a fronte del lungo elenco di esponenti della nobiltà bolognese che lasciarono i loro averi in eredità alla confraternita, fra cui, solo fra Cinque e Seicento, Galeazzo Grassi (1576), Vincenzo Bolognetti (1581), Terenzio Machiavelli (1620), Domenico Grati (1625),24 oltre agli "81 benefattori" ricordati da Cancellieri, fra cui spicca il nome di Gabriele Paleotti.25
[9] I diversi indirizzi degli attori bolognesi presenti sulla scena romana individuano la complessità di un problema, quello del contesto di fondazione del sodalizio, che appare segnato da azioni e volontà differenti, non iscritte in un disegno coerente. Tuttavia alcuni fattori, sinora trascurati, tendono a rivalutare il quadro d'insieme, inserendo tali posizioni in una logica generale più stringente. La prima voce eloquente viene dalla Bulla papale che ufficializza la confraternita (1576): in quell'occasione Gregorio XIII le assegnò di fatto il patronato di San Giovanni Evangelista, più precisamente quello di San Giovanni a Porta Latina (Fig. 4).26 Tale scelta, che accompagna la nascita del sodalizio in territorio romano, esaudirebbe secondo le fonti coeve un desiderio nutrito dagli stessi Bolognesi di rivitalizzare la chiesa omonima sul colle poco distante dal Laterano, che attraversava in quegli anni un periodo di povertà liturgica.
Pompilio Totti, nel suo Ritratto di Roma moderna (Roma 1638), non ha dubbi:
Parve poi ai Bolognesi di rinovare in questa loro chiesa la memoria d'alcun'altra di Roma non tanto frequentata, e che fosse delle più antiche, e tale giudicarono quella di San Giovanni dinnanzi di Porta Latina, che non s'apre se non il giorno della stazione quadragesimale, e della sua festa a' 6 di Maggio.27
[10] I Bolognesi e il papa avrebbero dunque volutamente ignorato la tradizione secolare di San Petronio, patrono dei Bolognesi fin dal XII secolo, la cui aura in città negli anni Settanta del Cinquecento era assai viva e si incarnava nel dibattito per il completamento della facciata della basilica a lui dedicata, per la quale proprio dal '70 al '78 giunsero gli illustri progetti di Domenico Tibaldi, Francesco Morandi detto il Terribilia e Andrea Palladio, in un dialogo che superava i confini del capoluogo felsineo (Fig. 5).
[11] Per la stessa basilica uno degli uomini più vicini a papa Boncompagni, il matematico perugino Egnazio Danti (1536–1586), progettista delle carte per la Sala Bologna, stava rifinendo nel 1575 una vistosa meridiana.28 Il titolo petroniano manca in effetti nei più antichi Statuti dell'Arciconfraternita (1636),29 e in tutti gli inventari dei beni della chiesa ritrovati in archivio datati 1624 e 1629, mentre compare per la prima volta in quello del 1689,30 portando a pensare che tale patronato sia stato aggiunto tra la prima e la seconda metà del secolo. I Bolognesi avrebbero quindi scelto di legarsi al più antico patriarcato romano, San Giovanni in Laterano, con un riferimento evidente ai luoghi tradizionalmente legati alla presenza del santo in città, la cattedrale di Roma e la chiesa a Porta Latina con il vicino tempietto di San Giovanni in Oleo, eretto sul luogo dove il santo avrebbe subito il martirio nell'olio bollente, un'immagine che doveva essere presente, a detta di Cancellieri, nelle loro insegne "sopra sacchi bianchi".31
[12] Questo gesto di denominazione sembrerebbe essere, tuttavia, più che una scelta autonoma da parte dei Bolognesi un riferimento evidente a un tema caro a papa Gregorio XIII, che trova terreno fertile di applicazione durante il Giubileo del 1575. Numerosi interventi hanno messo in luce come il pontefice intendesse infatti rilanciare l'immagine della Chiesa del tardo Rinascimento in una forte continuità con la prima Chiesa di Costantino, nel tentativo di ricomporre la frammentazione del mondo cristiano per l'Europa uscita dal Concilio di Trento.32 Ripercorrendo la storia del papato, Boncompagni volle ricucire il legame fra l’antica basilica paleocristiana e l’attuale sede vaticana, secondo un disegno teologico-politico che viene divulgato in quell'anno con mezzi di forte immediatezza visiva.
[13] La nota stampa diGiovanni Battista dei Cavalieri (Fig. 6) ritrae l'inaugurazione dell’Anno Santo con un focus sulla basilica di San Pietro con davanti l'inequivocabile porticus costantinianum.
Altrettanto incisiva risulta la stampa divulgata da Pietro de’ Nobili, tratta dall'invenzione di Antoine Lafréry, che pubblicizza il pellegrinaggio alle Sette Chiese (Fig. 7), rivitalizzato già da alcuni decenni da Filippo Neri, con al centro la basilica di San Giovanni in Laterano, fondata da Costantino stesso, che diventa perno visivo della raffigurazione attorno alla quale ruotano le altre sei basiliche, e fulcro spirituale del cammino liturgico.
In funzione della basilica patriarcale il papa aveva ripensato l'intero assetto urbanistico della città, e con l'inaugurazione nel 1575 di un nuovo altare dedicato al SS. Sacramento e la centralizzazione del battistero per i nuovi catecumeni, l'aveva posta al centro delle celebrazioni giubilari. In quest'immagine di Roma post-tridentina, che guarda alla sua storia paleocristiana e ne fa il vessillo di una nuova moderna cristianità, non sorprende che Gregorio presenti la nazione bolognese conil nome del santo legato alla cattedrale costantiniana, mentre non convince l'ipotesi che i Bolognesi adottino quel nome autonomamente. Le severe norme di condotta emanate da Gabriele Paleotti a Bologna per quell'Anno Santo, pubblicate nell'Episcopale Bononiensis, ordinano in più punti ai pellegrini diretti verso Roma, la "compagnia dei bolognesi" divisa in confraternite, di attestare la propria provenienza comune portando un gonfalone raffigurante san Petronio "uniforme a tutti" e uno scudetto addosso con l'immagine del patrono.33 Anche uno dei primi storici che ricorda la venuta dei Bolognesi, Camillo Fanucci,riporta l'insolita denominazione che avrebbe scelto la confraternita, ma poi si sofferma sulla festività di san Petronio da loro celebrata, dilungandosi sulla biografia del santo vescovo.34
[14] È possibile perciò che il paradosso di cui la comunità bolognese a Roma è rimasta vittima, ovvero la mancanza di un palcoscenico adeguato ad esibire i propri contenuti culturali, artistici e liturgici in un periodo di grande forza politica e sociale per la sua città, possa spiegarsi in quella che fin dall'inizio sembra essere una dissociazione identitaria. Da un lato Gregorio XIII sembra ricondurre con forza la confraternita entro un indirizzo romanizzante, ponendola sotto l'auspicio dell'Evangelista, patrono di una novella chiesa costantiniana al centro della politica religiosa papale. In questo senso si può riconsiderare anche la collocazione fisica della chiesa, che non a caso appare inserita nell'orbita dei luoghi di Filippo Neri, che a pochissimi metri dirigeva l'oratorio di San Girolamo della Carità.35 L'isolato attorno a Piazza Farnese, fra il Tevere e la futura Chiesa Nuova della Vallicella, era divenuto il "quartier generale" della spiritualità filippina, attorno al quale gravitavano uomini illustri di lettere, scienze e arti, impegnata anch'essa nel recupero della tradizione di una Chiesa primitiva, centrato su una nuova immagine di Roma.36 La chiesa dei bolognesi veniva dunque inserita all'interno del recinto di quella che fin dalla fine del Concilio di Trento appare la più potente realtà di rinnovamento spirituale della città dove le classi subalterne, l'universo dei pellegrini e la liturgia quotidiana sono il perno attorno al quale ruota l'azione di san Filippo.
[15] Si fa strada l'ipotesi che la confraternita, formatasi spontaneamente e votata alle opere assistenziali e al pellegrinaggio, non rientrasse nello specifico bisogno di affermazione di Boncompagni, mirato a consolidare un prestigio personale presso le alte cariche bolognesi, che prima della sua elezione la famiglia, di recente ingresso nella nobiltà, non possedeva, secondo un disegno che prende forma nella Sala Bologna, nel cuore del potere curiale romano. La frase di Marcantonio Ciappi, che sottolinea come il papa "sopra tutto volle che nella città di Roma havesse la sua Natione Bolognese particolare preminenza conforme alla sua nobiltà,"37 che non trovava finora un riscontro comprensibile nell'analisi dei fatti, si traduce, nell'ottica della sua politica, in un'intitolazione onorifica e nella protezione di Filippo Neri, animatore di un pellegrinaggio che lo stesso Gregorio sosteneva e frequentava. Nasce così una realtà spirituale che traeva forza e mezzi non da un aiuto istituzionale ma dall'operosità popolare, dall'interno di un'esperienza assistenziale tutta romana. D'altro lato emerge, con potenza di immagini, la volontà da parte della comunità stessa dei Bolognesi di riallacciarsi alla devozione locale, affiancando il titolo di San Petronio e spostando, o meglio riequilibrando l'asse identitario verso Bologna. Come noto, fin dall'età comunale la figura di Petronio era stata rielaborata in funzione di un nuovo patronato, come potente simbolo dell'identità bolognese in quanto collante fra le varie istituzioni locali (Chiesa, Comune, Università) e garante dell'autonomia comunale contro ingerenze politiche esterne.38 Il suo culto civico si era consolidato nei secoli perché assunto a baluardo della libertà bolognese scelto dalla cittadinanza stessa, come pater che rispecchia le aspirazioni di un popolo divenuto cosciente della sua dignità e autonomia, con un sentire che prende forma nell'imponente basilica cittadina. Con una singolare ripetizione storica si verifica, in tardo Rinascimento, ciò che era già avvenuto nel tardo Medioevo: la presenza di un'autorità ecclesiale costantiniana, allora incarnata nella cattedrale bolognese di San Pietro, intitolazione romana e pontificia, a cui il popolo (ora i fondatori della confraternita) ha voluto affiancare l'impronta petroniana.39 La compresenza dei due santi era visibile sull'altare maggiore della chiesa nella pala che Domenichino esegue a partire dal 1625 (Fig. 8), rimasta in loco fino alle requisizioni napoleoniche: la figura di san Petronio è ritratta accanto a quella di san Giovanni molto prima che la chiesa assuma il doppio nome (la pala risulta conclusa nel 1629), dettaglio che in questo contesto assume un rilievo ancora più specifico.
[16] Rossella Vodret, che ne ha compiuto una prima puntuale analisi, ha peraltro messo in luce come lo stile e l'iconografia del dipinto contribuiscano ad esaltare la componente bolognese-emiliana della pittura di Domenichino: dai ricordi iconografici della scuola di Annibale Carracci e Guido Reni (in particolare nello studio del gruppo della Vergine) alla presenza degli strumenti musicali, riferimento alla tradizione della cappella di San Petronio, attraverso una sintesi cromatica che tiene conto delle teorie sulla prospettiva del colore del cesenate Matteo Zaccolini, arrivando a una costruzione sintattica che ha il suo fulcro compositivo ed emotivo nello sguardo della Madonna e del Bambino rivolti solo verso il santo bolognese,40 in un insieme che rende la pala un'icona della "bolognesità" trapiantata in Roma. È noto che per l'esecuzione dell'opera la scelta da parte della compagnia ricadde sul Domenichino, che si era offerto subito di eseguirla, solo dopo un consulto con Giovan Battista Agucchi (Bologna 1570– San Salvatore 1632), all'epoca nunzio a Venezia, con il quale intrattenne stretti rapporti di amicizia e committenza.41 Il ruolo di Agucchi per la confraternita bolognese attende ancora di essere messo in luce, ma una prima ricognizione fra gli inventari lo configura in quegli anni come Governatore, ovvero responsabile legale della compagnia e detentore del registro dei mandati. Nell'inventario del Febbraio 1624, redatto in sua presenza, sono elencate quattro serie di paliotti di damasco guarniti di seta e quattro pianete "con frangia e trina d'oro", secondo i colori dei tempi liturgici, destinati a ricoprire i tre altari della chiesa con "impressa l'arme di Mons[ignore] Agucchi"; in sagrestia, armadi di diverse altezze "fatti fare da Mon[signo]re G[iovan] Batt[ist]a Aguchio Ill[ustrissi]mo Gov[ernato]re", e "banconi per sedere li prelati in chiesa donati da Mon[signore] Aguchio".42 A una prima lettura sembra dunque che Giovanni Battista Agucchi non abbia esaurito il suo impegno in un ausilio morale ma si sia concretamente speso in donazioni di arredi atti al funzionamento liturgico quotidiano, con una tipologia di dono, espressione di protezione, che sarà prerogativa solo di alcuni grandi esponenti del patriziato bolognese, fra cui un secolo dopo papa Benedetto XIV, il bolognese Prospero Lambertini (1750).43
[17] La qualità del legame che il sodalizio matura nei confronti della figura di san Petronio, e che prende corpo nella pala del Domenichino, riflette dunque il bisogno da parte dei Bolognesi di presentarsi a Roma uniti sotto un culto che aveva valenza civile prima ancora che religiosa. Questa esigenza verrà poi confermata dalle successive dedicazioni. La ricognizione negli inventari ha permesso una prima parziale ricostruzione dell'assetto pittorico della chiesa, che fino alla fine del Settecento si presenta estremamente mutevole. Ad esso bisogna ricondurre, in primo luogo, la versione su tela della Beata Vergine di San Luca, replica moderna dell'icona del XIII secolo venerata nell'omonimo santuario di Bologna. Gli inventari citano un dipinto con questo soggetto sull'altare dell'oratorio (oggi distrutto) almeno fino alla fine del Seicento, arricchito da un frontale in legno argentato e da una corona di fiori in "seta di Bologna", secondo una consuetudine che contraddistingue le immagini mariane del bolognese e delle diocesi suffraganee di Imola e Faenza, volta a rafforzarne il legame visivo e cultuale.44 Fra XVII e XVIII secolo la compagnia sceglie di valorizzare tale devozione, posizionando una nuova versione del dipinto come sottoquadro alla pala di Santa Caterina tuttora in chiesa.45 L'esemplare qui pubblicato (Fig. 9) è con ogni probabilità la "madonna di san Luca di 3 palmi che serve da porre in strada sopra la porta di chiesa durante le rogazioni",46 motivo per il quale si presenta visibilmente scurito dagli agenti atmosferici.
[18] Esso denuncia analogie iconografiche e stilistiche con alcune copie "metabolizzate" dell'icona circolanti a Bologna nella prima metà del Seicento, provenienti dalle botteghe di Ludovico Carracci (Fig. 10) e Guido Reni (Fig. 11).
Quanto già notato per la pala del Domenichino viene dunque riproposto per l'icona mariana: l'immagine del patrono prende corpo attraverso riferimenti stilistici alle botteghe bolognesi più illustri, probabilmente filtrati attraverso una delle numerose stampe in circolazione che rileggono non tanto il modello originale ma la versione seicentesca, che ammorbidisce le fisionomie per una resa più accostante degli affetti fra madre e figlio. Una datazione alla metà del Seicento coincide inoltre con una fase di rinnovato slancio devozionale da parte dei Bolognesi. Se infatti già dai primi del Cinquecento l'immagine aveva iniziato ad apparire nelle monete locali con il motto presidium et decus, nel 1603 l'icona era stata solennemente incoronata dal vescovo Alfonso Paleotti. Verso la metà del secolo i pellegrinaggi avevano raggiunto una tale frequenza e vivacità che nel 1655 era arrivata da parte dei cittadini stessi la proposta di erigere un portico verso il santuario, in un contesto enfatizzato dalla penna di alcuni cronisti, che tentavano di dare base documentaria alla leggenda del quadro, operando anche falsificazioni storiche.47
[19] Nel corso del Settecento l'altare dell'evangelo si arricchì della già citata pala con al centro l'isolata figura di Santa Caterina de’ Vigri (Fig. 12), mistica francescana dal corpo incorrotto, tuttora venerato nel monastero bolognese del Corpus Domini, chiamata affettuosamente dai Bolognesi "la Santa". Nelle guide romane l'attribuzione del dipinto oscilla fra Giovanni Gioseffo dal Sole (1654–1719) e Marcantonio Franceschini (1648–1729),48 ma il ritrovamento recente del disegno preparatorio di mano di quest'ultimo (Pinacoteca Nazionale di Bologna, Gabinetto Disegni e Stampe, inv. n. 1807) e l'analisi del suo libro dei conti ne hanno ristabilito definitivamente la paternità.49
L'analisi del lungo processo di canonizzazione,iniziato subito dopo la morte di Caterina e culminato con la solenne proclamazione da parte di papa Clemente XI nel 1712, ha evidenziato tre fasi diversamente caratterizzate.50 Fra le diverse richieste di riconoscimento giunte da Bologna solo l'ultima ebbe successo proprio perché sostenuta e rappresentata non solo dalle famiglie più facoltose ma anche dalle magistrature e dal Senato bolognese che si erano affiancati alle monache, vedendo in Caterina un motivo di lustro per la città, nonché una potente espressione di controllo delle classi subalterne e di autonomia verso la Santa Sede. A testimoniare l'antico legame stava, già nel 1680, l'iscrizione nella cappella mortuaria:
Questa cappella il cui disegno fu rilevato secondo la tradizione in modo sopra naturale, venne eretta in onore di santa Catterina de Vigri. Dalla pietà dei cittadini bolognesi, l'anno 1680, col consenso del Senato, principalmente per l'onore dei nobili signori Bentivoglio, Campeggi, Paleotti e Marescotti, e per lo zelo di gli assunti del monastero.51
[20] Approvato il decreto nel 1707, la confraternita bolognese commissiona allo stesso Franceschini tre stendardi processionali, destinati rispettivamente alla basilica di San Pietro a Roma, al santuario del Corpus Domini a Bologna e alla loro chiesa nazionale. I primi due non sono per ora rintracciabili,il terzo fu invece tradotto nella pala d'altare presente, descritta in tutti gli inventari settecenteschi come "Santa Caterina come si vede in Bologna".52 Nel corso del XVIII secolo la santa diventa co-patrona di tutta la cittadinanza felsinea, in una dimensione devozionale sempre crescente, al punto che alcuni documenti d'archivio recitano "chiesa di SS. Petronio e Caterina nazionale de' Bolognesi".53 Non si deve intendere la formazione di una seconda compagnia, ma piuttosto un utilizzo spontaneo e non istituzionalizzato dei nomi dei due santi, accostati nel Settecento come co-patroni della città di Bologna e quindi della sua confraternita, che ignora ancora una volta e deliberatamente il nome di San Giovanni Evangelista.
[21] Da questi primi dati emerge una realtà confraternale del tutto singolare: formatasi per volontà di un gruppo di Bolognesi già residenti a Roma e finanziata da lasciti di privati cittadini, essa si sviluppa e vive di mezzi autonomi rispetto alle istituzioni curiali, grazie ad un interesse economico animato dalla religiosità civica collettiva. Non deve quindi stupire che il funerale di Gabriele Paleotti, morto a Roma nel 1597, acuto e zelante riformatore della diocesi felsinea, con un meccanismo che incardina le confraternite, le processioni e le parrocchie in una solida dimensione unificante e collettiva, peraltro in stretti rapporti con Filippo Neri, venga celebrato in questa chiesa.54
[22] Non bisogna tuttavia pensare che un culto soppianti l'altro: si realizza piuttosto una compresenza e un arricchimento della liturgia di stampo bolognese, dove la commissione di ciascuna immagine corrisponde alla fase storica in cui quella devozione collettiva diventa più funzionale di altre all'affermazione di ideali politico-sociali e culturali per la città di Bologna, quando quel culto"raccoglie in sé tutta l'evoluzione politica dello Stato di Bologna in età moderna".55 D'altronde gli inventari dell'oratorio riportano la presenza, sugli scaffali della libreria, della preziosissima Bologna Perlustrata di Antonio Paolo Masini (Bologna1650),56 utile e maneggevole prontuario devozionale per tenersi aggiornati sul calendario liturgico e sulle festività bolognesi anche a distanza, un libro che descrive una Bologna "santa" per la moltitudine di chiese e reliquie disseminate lungo i percorsi liturgici, che non aveva nulla da invidiare alla Roma giubilare.Nata sotto il segno di una doppia identità, la confraternita dei SS. Giovanni Evangelista e Petronio sopravvive in modo impervio ma costante nei secoli sotto spinte politiche e sociali diverse. I diversi culti visualizzano questo dualismo d'intenti che esaltano di volta in volta l'istituzionalità curiale romana, la sensibilità popolare del mondo laico e religioso, in una dinamica che allinea desiderio aristocratico e bisogno popolare, in linea con gli scopi di una confraternita assistenziale.
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1 Per un inquadramento storico-artistico si veda soprattutto Vera Fortunati, "Cronaca di un viaggio attraverso la pittura bolognese nella Bologna pontificia del Cinquecento", in: Pittura bolognese del '500, Bologna 1986, vol. 1, XVII-XXXIX; Vera Fortunati, Sguardi sulla pittura a Bologna nel Cinquecento. Molteplicità di protagonisti e linguaggio nell'intreccio di eventi europei politici e religiosi, in:La pittura in Emilia e in Romagna. Il Cinquecento, Milano 1995, vol. 1, 12-35; Carlo V a Bologna. Cronache e documenti dell'incoronazione (1530), ed. Roberto Vighi, Bologna 2000; Bologna nell'età di Carlo V e Guicciardini, a cura di Emilio Pasquini e Paolo Prodi, Bologna 2004; Giovanni Sassu, Il ferro e l'oro. Carlo V a Bologna, Bologna 2007; Renato Zangheri, ed., Storia di Bologna, vol. 3.3: Bologna nell'età moderna (secoli XVI–XVIII), a cura di Adriano Prosperi, Bologna 2008.
2 Pietro Martire Felini, Trattato delle cose meravigliose dell'Alma Città di Roma […], Roma 1610, 125; Ottavio Panciroli, Tesori nascosti dell'Alma Città di Roma […], Roma 1625, 754-755; Pompilio Totti, Ritratto di Roma moderna, Roma 1638, 192; Federico Franzini, Descrittione di Roma antica e moderna […], Roma 1643, 223; Fioravante Martinelli, Roma ex ethnica sacra, Roma 1653, 126; Filippo Titi, Studio di pittura, scoltura et architettura, Nelle chiese di Roma, Roma 1674, 112-113; Filippo de' Rossi, Ritratto di Roma moderna […], Roma 1689, 194; Antonio Fonseca, De basilica S. Laurentii in Damaso, Fano 1745, 315.
3 Diego Angeli, Le chiese di Roma: guida storica e artistica delle basiliche, chiese e oratori della città di Roma, Roma 1903, 196-197; Christian Hülsen, Le chiese di Roma nel Medioevo, Firenze 1927, 492; Alfredo Proia e Pietro Romano, Arenula (Rione Regola), Roma 1935, 148-150; Ceccarius (Giuseppe Ceccarelli), Strada Giulia, Roma 1940, 36-37; Mariano Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IX al XIX, vol. II/1, Roma 1942, 520; Luigi Salerno, Luigi Spezzaferro e Manfredo Tafuri, Via Giulia, Roma 1975, 489-494; Le guide rionali di Roma. Rione VII Regola, a cura di Carlo Pietrangeli, vol. III, Roma 1979, 58-61; Ludovico Pratesi, Via Giulia, Roma 1989, 32; Ferruccio Lombardi, Roma. Le chiese scomparse. La memoria storica della città, Roma 1998, 212; Olga Melasecchi, "Santi Giovanni e Petronio dei Bolognesi", in: Roma Sacra: guida alle chiese della città eterna, vol. 12: Da via Giulia a via dei Banchi Vecchi, Roma 1998, 19-20.
4 Oreste Ferdinando Tencajoli, Le chiese nazionali italiane in Roma, Roma 1928, 79.
5 Matizia Maroni Lumbroso e Antonio Martini, Le confraternite romane nelle loro chiese, Roma 1963, 327-329; Luigi Salerno, Roma communis patria, Bologna 1968, 132-133; Ricerche per la storia religiosa di Roma, vol. VI: Storiografia e archivi delle confraternite romane, a cura di Luigi Fiorani, Roma 1985, 361-362.
6 Jack Wassermann, Ottaviano Mascherino and His Drawings in the Accademia Nazionale di San Luca, Roma 1966, 7, 20, 21, 23; Daniele Pascale, Maurizio Ricci e Augusto Roca de Amicis, "Ottaviano Mascarino e le chiese nazionali dei Bolognesi e Napoletani a Roma", in: Identità e Rappresentazione. Le chiese nazionali a Roma, 1450–1650, ed. Alexander Koller e Susanne Kubersky-Piredda, atti del convegno, Roma, Bibliotheca Hertziana, 2013, Roma 2016, 447-472; nello stesso volume, si veda una prima riflessione sui temi dell'identità bolognese in Micaela Antonucci, "I luoghi della 'nazione' bolognese a Roma e la chiesa dei Santi Giovanni Evangelista e Petronio", 474-493.
7 Rossella Vodret Adamo, "La pala della chiesa dei Santi Giovanni Evangelista e Petronio dei Bolognesi", in: Domenichino (1581–1641), catalogo della mostra, Roma 1996, 298-310; Rossella Vodret Adamo, scheda di catalogo, in: Galleria Nazionale d'Arte Antica, Palazzo Barberini. I dipinti, catalogo sistematico, a cura di Lorenza Mochi Onori e Rossella Vodret Adamo, Roma 2008, 464.
8 L'archivio della confraternita è oggi in prevalenza formato da un fondo sette-ottocentesco, a cui si aggiunge ulteriore documentazione del XVII secolo rilevata in faldoni sparsi. Una prima analisi è stata svolta in: Giulia Iseppi, "L'archivio della confraternita dei Santi Giovanni Evangelista e Petronio", in: La chiesa dei Bolognesi in Roma: Santi Giovanni Evangelista e Petronio in via del Mascherone, a cura di Francesco Buranelli e Fabrizio Capanni, Roma 2017, 141-147.
9 Antonino Bertolotti, Artisti bolognesi, ferraresi ed alcuni altri, del già Stato Pontificio in Roma nei secoli XV, XVI e XVIII: studi e ricerche tratte dagli archivi romani, Roma 1886; Nicole Reinhardt, "Bolonais à Rome, Romains a Bologne. Carrières et stratégies entre centre et périphérie. Une esquisse", in: Offices et Papauté (XIVe–XVIIe siècle). Charges, hommes, destins, ed. Armand Jamme e Olivier Poncet, Roma 2005, 237-249; Egmont Lee, Habitatores in Urbe. The Population of Renaissance Rome, Roma 2006; Antonucci, I luoghi, 473-474.
10 Pompeo Vizzani, Dieci libri della historia della sua patria, Bologna 1602, 36.
11 Domenico Maria Galeati, Diario e memorie dall'anno 1550 al 1612, anno 1575, Bologna, Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio, ms. B80; il brano riportato è stato pubblicato da Giancarlo Roversi, "Gli anni giubilari dal Cinquecento al Settecento", in: Papi a Bologna e Papi Bolognesi. Giubilei e Pellegrinaggi, a cura di Mario Fanti e Giancarlo Roversi, Bologna 1999, 155.
12 Roma, Archivio Curia Generalizia Fatebenefratelli (AGF), Isola Tiberina, Cenni storici, A3, armadio XLVIII, Fascicolo VII, n. 1A e n.2. Il documento è la copia dell'originale conservato presso l'Archivio di Stato di Roma (Notarile, Trenta Notai capitolini, vol. 3587, Scipione Grimaldi, 562-567). Padre Gabriele Russotto, responsabile dell'archivio dell'ordine nel corso degli anni '50, analizzò la trascrizione del documento che possedeva, risalente al 1877, e la trovò carica di errori di comprensione e ortografia. Nel 1949 ne fece dunque una nuova trascrizione dandola alle stampe, tuttora conservata in archivio, che corrisponde al documento originale. Si ringrazia la dott.ssa Chiara Donati, responsabile dell'Archivio Storico della Curia Generalizia, per aver facilitato l'analisi della documentazione.
13 Con molta probabilità Diego de la Cruz, originario di Málaga e vicario generale dal 1588, venne a Roma verso il 1580 con Pietro Soriano, primo generale dell'Ordine di San Giovanni di Dio. Dopo le trattative con i bolognesi, de la Cruz sarà inviato a Perugia a fondare un altro ospedale come primo Superiore. Cfr. AGF, Isola Tiberina, Fascicolo VII, n. 3; Juan Santos, o.h., Chronología hospitalaria y resumen historical de la Sagrada Religión del glorioso Patriarca San Juan de Dios, vol. 1, Madrid 1715–1716, 364; Raffaele Meyer, Cenni biografici dei superiori generali dell'ordine ospedaliere di S. Giovanni di Dio (Fatebenefratelli), Roma 1925, 16-18.
14 Cfr. Umberto Coldagelli, "Boncompagni, Filippo", in: Dizionario biografico degli italiani, VI, Roma 1969, 687-689; Manuela Rubbini, "I proprietari della villa. I conti Guastavillani", in: La villa del cardinale Filippo Guastavillani, ed. Anna Maria Matteucci Armandi e Davide Righini, Bologna 2000, 43-47; Gabriele Brunelli, "Guastavillani, Filippo", in: Dizionario biografico degli italiani, vol. 60, Roma 2003, 489-493; Ester Pasqualoni, "Il cardinale Filippo Guastavillani (1541–1587). Indagini sulle committenze artistiche del secondo cardinal nipote 'creato' da papa Gregorio XIII", in: Bollettino d'arte 95 (2011), 23-44; Maurizio Ricci, Bologna in Roma, Roma in Bologna. Disegno e architettura durante il pontificato di Gregorio XIII (1572–1585), Roma 2012, 11-41.
15 Paolo Prodi, Il cardinale Gabriele Paleotti (1522–1597), vol. 2, Roma 1967; Umberto Mazzone, "Dal primo Cinquecento alla dominazione napoleonica," in: Storia della chiesa di Bologna, ed. Paolo Prodi e Lorenzo Paolini, vol. 1, Bergamo 1997, 205-282, in part. 216-243; Gabriella Zarri, Chiesa religione società (secoli XV–XVIII), in: Storia di Bologna. Bologna nell'età moderna, ed. Adriano Prosperi, vol. 2, Bologna 2008, 885-1004, in part. 957-965.
16 Recentemente Maurizio Ricci ha ricostruito l'entourage di Gregorio XIII nella curia romana, che oltre ai due nipoti, ai quali tuttavia egli non conferì sicuro potere decisionale, si componeva dei suoi servitori personali fino agli artisti più gettonati, tutti di provenienza felsinea, Ottaviano Mascherino, Lorenzo Sabatini e Bartolomeo Passerotti. Si veda Ricci, Bologna in Roma, 11-20.
17 Francesca Fiorani, "La Sala Bologna di Gregorio XIII", in: Carte dipinte. Arte, cartografia e politica nel Rinascimento, vol. 6, New Haven and London 2005, 175-205; Francesco Ceccarelli e Nadja Aksamija, La Sala Bologna nei palazzi Vaticani: architettura, cartografia e potere nell'età di Gregorio XIII, Venezia 2011.
18 Cancellieri, Notizie istoriche, 8.
19 Magnum Bullarium Romanum, Roma 1863, CLXXXIV, 1 Aprile 1576, 534.
20 Christian Hülsen, Le chiese di Roma, Roma 1927, 492.
21 I rapporti fra i Boncompagni-Guastavillani e Mascarino iniziano a Bologna, quando riceve l'incarico di progettare la nuova villa di Filippo Guastavillani a Barbiano e il rifacimento del complesso di Santo Stefano; a Roma Mascarino lavora in numerose fabbriche pontificie, fra cui, oltre al palazzo Vaticano, dove si impiega anche come pittore, al palazzo già Zambeccari acquistato dai nipoti (1575) a Santa Maria in Traspontina (1581), e al Collegio Romano (1582), progettò il rifacimento della rocca di Civita Castellana (1585) e di un palazzo in via Pozzo delle Cornacchie vicino al Pantheon (1586). Per la carriera di Mascarino si veda Ester Pasqualoni, "Il cardinale Filippo Guastavillani", 23-44; Maurizio Ricci, "Ottaviano Mascarino (Bologna, 1536 – Roma, 1606)", in: Ceccarelli e Aksamija, La Sala Bologna, 174-175; Ricci, "Strategie familiari, committenti, architetti nella Bologna di Gregorio XIII", in: Bologna in Roma, 11-17.
22 Cancellieri, Notizie istoriche, 122-123.
23 Archivio di Stato di Roma (ASR), Camerale I, Fabbriche, nn. 1527-1530.
24 Marcantonio Ciappi, Compendio delle heroiche et gloriose attioni, et santa vita di papa Gregorio XIII. Distinto in tredici capi, in memoria delli XIII anni ch'egli visse nel suo felice ponteficato. Raccolto da Marc'Antonio Ciappi senese: et dal medesimo nuovamente corretto, et in molte parti accresciuto. Con le figure tratte dal naturale delli collegij, et altre fabriche fatte da lui, Roma 1596, 23, 95; Archivio Storico del Vicariato di Roma (ASVR), Fondo Santi Giovanni Evangelista e Petronio dei Bolognesi, vol. 46, Memorie, reliquie, Sacre Visite, fogli non numerati.
25 Cancellieri, Notizie istoriche, 120-126.
26 "[…] confraternitatem praedictam, quam pridie, die videlicet vigesima quarta mensis Septembris anni praeteriti, sub invocatione S. Ioannis Apostoli et Evangelistae, ad Dei laudem et adusque. Sancti honorem, vivae vocis nostrae oraculum denominavimus […]; nec non in festo eiusdem Sancti Ioannis ante Portam Latinam die sexta mensi maii celebrari solito, unum in Urbe carceratum dictae nationis Bononiensis […] plenam et liberam licentiam et facultatem concedimus et impartimur", Magnum Bullarium Romanum, 535.
27 Totti, Ritratto, 192; Panciroli, Tesori nascosti, 754; Cancellieri, Notizie istoriche, 11.
28 Amedeo Belluzzi, "I progetti cinquecenteschi", in: La Basilica di San Petronio in Bologna, Bologna 1983, vol.2, 7-28; James S. Ackerman, "Disegni del Palladio per la facciata di San Petronio", in: Una basilica per una città. Sei secoli in San Petronio, ed. Mario Fanti e Deanna Lenzi, atti del convegno di studi, Bologna 1994, 251-258; La Basilica incompiuta. Progetti antichi per la facciata di San Petronio, catalogo della mostra, Bologna 2002, in particolare i progetti nr. 12-17, 107-123. Il domenicano Egnazio Danti realizzò la meridiana fra il 1575 e il 1576, nello stesso anno in cui era stato chiamato a Bologna per l'insegnamento pomeridiano di matematica allo Studio. Di essa rimangono uno schizzo dello stesso Danti e le descrizioni che ne fa Giovanni Battista Riccioli (1598–1671) nel suo Almagestum novum, astronomiam veterem novamque complectens, Bologna 1651, vol. 1, libro 3, 131-132; Giorgio Tabarroni, "La meridiana", in: La basilica di San Petronio, Bologna 1983, vol. 2, 331-336.
29 Archivio Apostolico Vaticano (AAV), Sacra Congregazione, Visite Apostoliche, nr. 124, fogli non numerati; Vodret, "La pala della chiesa dei Santi Giovanni Evangelista e Petronio dei Bolognesi", 308.
30 ASVR, Fondo Santi Giovanni Evangelista e Petronio, vol. 51, Inventari, fogli non numerati.
31 Cancellieri, Notizie istoriche, 11.
32 Ludwig von Pastor, History of the Popes from the Close of the Middle Ages, vol. 19, Londra 1936–1955, 197-214; Maurizio Fagiolo e Maria Luisa Madonna, Roma Sancta. La città delle basiliche, catalogo della mostra, Roma 1985, 266-274; Jack Freiberg, "The Lateran Patronage of Gregory XIII and the Holy Year 1575", in: Zeitschrift für Kunstgeschichte 44 (1991), 66-87; Jack Freiberg, "In the Sign of the Cross. The Image of Constantine in the Art of Counter-Reformation Rome", in: Piero della Francesca and His Legacy, ed. Marilyn Aronberg Lavin, Hanover 1995 (= National Gallery of Art, Washington, D.C., Studies in the History of Art, 48), 66-87; Fiorani, "La Sala Bologna di Gregorio XIII", 174-178.
33 "Perché in questa compagnia ci saranno persone di diversi istituti, cioè sacerdoti e laici, e li confratri del SS.mo sacramento della nostra cathedrale, […] seguiranno i laici con inanzi l'insegna di San Petronio, […] e doppo i laici seguiranno i riverenti sacerdoti con monsignor suffraganeo, […] haverà però ciascuno delli ordini sopradetti una insegna di San petronio uniforme a tutti"; Gabriele Paleotti, "Ordine che si haverà da serbare dalla honoranda compagnia dei bolognesi nel peregrinaggio santo di Roma il presente anno di Giubileo 1575," in: Episcopale Bononiensis Civitatis, Bologna 1580, 108-110. Sul testo si veda anche Giancarlo Roversi, "Gli anni giubilari dal Cinquecento al Settecento," in: Mario Fanti e Giancarlo Roversi, Papi a Bologna e papi bolognesi. Giubilei e Pellegrinaggi, Bologna 1999, 151-161.
34 Camillo Fanucci, Trattato di tutte l'Opere pie dell'Alma città di Roma […], Roma 1601, 368.
35 La lettera apostolica del 7 Ottobre 1994 è l'ultimo di una serie di interventi che hanno dato vita, nel corso del secolo scorso, a una disputa campanilistica sul santo, di cui si invocava il suo essere romano a fronte dei natali fiorentini, per via di alcune affermazioni che lo stesso Filippo fece quando scelse Roma come sua patria definitiva. Si veda Antonio Cistellini, "Filippo Neri, prete romano", in: Maria Teresa Bonadonna Russo e Niccolò dal Re, San Filippo Neri nella realtà romana del XVI secolo, Roma 2000, 5-12.
36 Gli studi di Alessandro Zuccari hanno messo in luce la differente impostazione che governa la nascita degli Oratoriani e dei Gesuiti, questi ultimi concentrati su operazioni di evangelizzazione su scala mondiale, e soprattutto su una sofisticata impostazione teologica collegata ai fondamenti aristotelici del tomismo, di carattere fortemente intellettualistico. Alessandro Zuccari, La politica culturale dell'Oratorio romano nella seconda metà del Cinquecento, in:Caravaggio Controluce. Ideali e capolavori, Milano 2011, 19-84. Vedi anche Giuseppe de Libero, San Girolamo della Carità nella storia, nell'arte, nelle opere, nella pietà, Roma, s.a.; Fiorello Ardizzon, San Girolamo della carità: storia, arte, spiritualità per una chiesa nel cuore di Roma, Roma 1987.
37 Ciappi, Compendio, 95.
38 La bibliografia sulla figura di san Petronio e il suo ruolo a e per Bologna è sterminata. Si ricordano alcuni interventi recenti e fondamentali. Alba Maria Orselli, "Immagine e miti di San Petronio nella tradizione bolognese," in: L'immaginario religioso della città medievale, Ravenna 1985, 437-456; Mario Fanti, La fabbrica di San Petronio a Bologna dal XIV al XX secolo. Storia di un'istituzione, Bologna 1980; Mario Fanti, "San Petronio patrono di Bologna e il suo culto," in: Sesto centenario della fondazione della basilica di San Petronio,Bologna 1990, 31-35; Ilka Kloten, "La fortuna di S. Petronio. Il patrono della città e la politica delle immagini," in: Il luogo e il ruolo della città di Bologna tra Europa continentale e mediterranea, ed. Giovanna Perini, Bologna 1992, 87-110; Enzo Lodi, "Il culto di San Petronio nella tradizione liturgica e popolare bolognese dei secoli XVII e XVII," in: Una basilica per una città. Sei secoli in San Petronio,ed. Mario Fanti, atti del convegno Bologna 1990, Bologna 1994, 159-168; Lorenzo Paolini, "Un patrono condiviso. La figura di San Petronio: da 'padre e pastore' a simbolo principale della religione civica bolognese (XII–XIV secolo)," in: Petronio e Bologna, il volto di una storia. Arte, storia e culto del santo patrono, catalogo della mostra, Bologna 2001, 77-84.
39 Don Santino Corsi, "Il vescovo e la città: alle origini della cita civile" e Rolando Dondarini, "Una basilica per una città," in: Petronio e Bologna, 241-245.
40 Vodret, "La pala della chiesa", 302-308.
41 Vodret, "La pala della chiesa", 298, e Silvia Ginzburg, "Domenichino e Giovanni Battista Agucchi", in: Domenichino (1581–1641), catalogo della mostra, Roma 1996, 121-137.
42 "Adì 4 Febraro ibi in presenza di mons. Agucchi, inventario dei beni", ASVR, Fondo Santi Giovanni Evangelista e Petronio, vol. 51, Inventari, 1624, fogli non numerati.
43 ASVR, Fondo Santi Giovanni Evangelista e Petronio, vol. 51, Inventari, 7 Marzo 1750, fogli non numerati.
44 L'edicola in cui l'immagine è ora inscritta non si ritiene quella originale, ma una replica modellata su un modello più antico, cfr. Giulia Iseppi, "Testimonianze di un culto bolognese: la Madonna di San Luca presso l'Arciconfraternita", in: La chiesa dei Bolognesi in Roma: Santi Giovanni Evangelista e Petronio in via del Mascherone, a cura di Francesco Buranelli e Fabrizio Capanni, Roma 2017, 121-132.
45 "Sotto [il dipinto di Santa Caterina del Franceschini] vi è una imagine della Beata Vergine detta di San Luca con sua copertina di seta bianca con n. 4 fioretti nelli cantoni ricamati a oro e seta e nel mezzo il nome di Maria a oro entro ad un nicchietto di legno a rosso e oro." Cfr. ASVR, Arciconfraternita..., Inventari (vol. 51), Inventario di tutti li beni mobili, stabili frutti, vendite, ragioni e azioni e pesi di qualsivoglia sorte della chiesa de SS: Giovanni e Petronio vescovo della nazione bolognese e dell'arciconfraternita eretta nella med.ma in Roma, fatto il dì 27 del mese di Novembre dell'anno 1726.
46 ASVR, Fondo Santi Giovanni Evangelista e Petronio, Inventari (vol. 51), Inventario della chiesa e dei locali attigui, s.d., ff.nn.
47 Mario Fanti e Giancarlo Roversi, La Madonna di San Luca. Otto secoli di storia, arte e fede, Bologna 1993, 78-87.
48 La Descrizione che riedita lo Studio di Titi (1763) e l'Accurata e succinta descrizione di Venuti (1766) attribuiscono la pala al Dal Sole, 105 e 229; Francesco Cancellieri, Notizie istoriche, 41, introduce per prima il nome di Franceschini riferendogli solo i due angeli che reggono il tendaggio; Diego Angeli nelle Chiese di Roma (1903) la riferisce addirittura a Emilio Savonanzi, confondendosi con un Cristo Morto dello stesso autore che era in oratorio e oggi disperso, 197.
49 Anna Paioli, "Santa Caterina in trono", in: Figure. Disegni dal Cinquecento all'Ottocento nella Pinacoteca nazionale di Bologna, ed. Marzia Faietti e Alessandro Zacchi, catalogo della mostra, Bologna 1998, n. 80, 214; Laura De Fanti, "Il Pittore della Santa: Marcantonio Franceschini e la decorazione nella chiesa del Corpus Domini", in: Vita artistica nel monastero femminile. Exempla, ed. Vera Fortunati, Bologna 2002, 288-289. L'attribuzione a Franceschini trova anche una maggior coerenza contestuale, essendo egli autore di tutto il ciclo decorativo del santuario bolognese del Corpus Domini, parzialmente distrutto dai bombardamenti del 1943, eseguito in collaborazione con Luigi Quaini e con il quadraturista Enrico Haffner. Cfr. Dwight Miller, Marcantonio Franceschini, Torino 2001, cat. n. 37-48, 135-160; idem, Il Libro dei conti di Marcantonio Franceschini, Bologna 2014, 99-101.
50 Serena Spanò Martinelli, "Caterina Vigri (Vegri, Nigri, Negri; C. da Bologna), santa", in: Dizionario biografico degli italiani, vol. 22, Roma 1979, 381-383; Caterina Vigri. La Santa e la Città, ed. Claudio Leonardi, atti del convegno, Bologna 2002; Serena Spanò Martinelli, Il processo di canonizzazione di Caterina Vigri, Firenze 2003.
51 Miller, Marcantonio Franceschini, 161.
52 ASVR, Fondo Santi Giovanni Evangelista e Petronio, vol. 52, Decreti e inventari, Inventario dei mobili e delle suppellettili,1737, fogli non numerati; per gli altri stendardi si veda Laura De Fanti, "Il pittore della Santa", 288-289.
53 ASVR, Fondo Santi Giovanni Evangelista e Petronio, Hasta delle robbe e suppellettili sagre, che si donano dalla santità di ns. Signore papa Benedetto XIV alla chiesa de SS. Petronio e Caterina nazionale de' Bolognesi, 7 Marzo 1750, vol. 51, Inventari, fogli non numerati.
54 Cancellieri, Notizie istoriche, 42-43.
55 Sull'utilizzo a scopo propagandistico delle devozioni nella storia bolognese si veda Umberto Mazzone, "Dal primo Cinquecento alla dominazione napoleonica", 205-282.
56 ASVR, Fondo Santi Giovanni Evangelista e Petronio, vol. 51, Inventari, 1689 e 1693, fogli non numerati.